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Il 7 dicembre si è aperto il centro commerciale “Il Molino” di Filippo Antonio De Cecco, preceduto e seguito da una forte campagna pubblicitaria su tutti i giornali regionali. Il “centro commercale in centro”, secondo l’efficace definizione dececchiana pare essere la risoluzione di tutti i mali e l’occasione del rilancio di Portanuova.

 

            A noi pare principalmente un’operazione di speculazione immobiliare, compiuta a beneficio quasi esclusivo del privato. Che poi, a evocare il “molino” – si noti la grafia arcaizzante – ci pensino degli edifici a torre e a serpentina, pare veramente un’ironia della sorte. Quando vogliamo ricordare qualcosa che ci è caro lo distruggiamo; per far soldi, of course. D’altronde anche Oscar Wilde diceva che “ognuno uccide la cosa che ama”. Qui pare proprio questo il caso.

Abbiamo demolito quasi tutti gli edifici industriali antichi che avrebbero invece potuto dare un sapore alla nostra città, un avvenire, il “futuro dal cuore antico”.

Abbiamo demolito “i veri monumenti della storia di Pescara” per dirla con Giorgio Manganelli, la ex-Fonderia Camplone, il “Molino” De Cecco, la Stazione ferroviaria di Porta Nuova.

 

            Ora, resta la ex-Fater.

 

            Questi edifici furono costruiti a poca distanza dal loro palazzo pescarese dalla famiglia Bucco, una delle più importanti dell’imprenditoria dell’epoca.

Lo Stabilimento Chimico-farmaceutico dei fratelli Bucco è ricordato anche nella collana “Le Cento Città d’Italia”, pubblicazione della Sonzogno di fine ottocento, dove si riporta anche un disegno a illustrare questa fabbrica. L’edificio principale è a due livelli, con una dignitosissima facciata a bifore, ornate da una decorazione zoomorfa di serpente – evidente richiamo al caduceo di Mercurio, emblema della Farmacopea. All’interno, corpi di fabbrica minori, e aggiunte successive. Il complesso è stato restaurato pochi anni fa.

            Ormai questi edifici sono diventati osceni, a paragone con la torre seghettata del De Cecco; e i nostri politici si stanno adoperando per farli sparire silenziosamente, come sempre accade da noi.

Pare dunque che, grazie ad un ennesimo accordo di programma firmato Dogali, anche questo patrimonio debba essere sacrificato al piccone palazzinaro pescarese. Mentre il piccone demolitore fascista agiva nell’illusione di monumetalizzare ruderi o pezzi di storia considerata migliore di altra, quello pescarese, a distanza di ormai settant’anni demolisce per saturare lo spazio di palazzate e palazzine.

            Noi pensiamo che la ex-Fater debba restare lì dov’è e che la si utilizzi preferibilmente a fini culturali, per esempio come contenitore di una biblioteca pubblica, uno spazio di cui la città sente il bisogno da anni e che si è pensato di costruire in forme futuribili anni fa.

 

            Sostengono alcuni personaggi autorevoli in città, che persino costruire grattacieli sia ecologico. Sarà forse l’esito di convergenze politiche parallele?