Vi propongo di seguito un testo, è l’articolo ironico e dissacrante (e ancor più perchè scritto da un architetto!) pubblicato su “Mente Locale” di Febbraio, circa Pescara e i suoi infiniti appellativi e le sue ampollose e criptiche definizioni urbanistico-architettoniche! Vi dico solo che ne è stato fatto anche un pezzo musicale, che potete scaricare su questo sito:

http://www.architettisenzatetto.net/blog/trackback.php/1/442

Urbanisti delusi
(testo rem, musica massimiliano)

Quando Pescara si sveglia la mattina non sa che il meglio delle menti si sta già interrogando su quale appellativo darle. qualcuno la descrive come “diffusa – erratica, pulviscolare e veicolare”, metropoli frammentata e confusionaria fatta di ossimori: scintillante agglutinato di favelas / pomposa raccolta di ville liberty, città di statura europea / provincia estrema del terzomondo, località di bassissima montagna / strategico affaccio sul Mediterraneo.
Qualcuno la vede come labirinto stradale, patchwork intricato di paesaggio e artificio, spazio residuale tra egocentriche infrastrutture. Qualcuno, la interpreta come punta estrema di un’unica conurbazione che inizia a Trieste e finisce a Francavilla Foro, continuità priva di soluzione che se ti distrai all’uscita di Roseto rischi di trovarti per sbaglio a Jesolo.
Per altri non è in Abruzzo, nossignore, è in California, – per quant’è simile a Los Angeles. Pescara non è una semplice città, ingenui, è paradigma, modello da studiare, pietra di paragone, esempio perfetto di città postmoderna. Secondo gli urbanisti della nuova leva, Pescara si è guadagnata il titolo di “città più postmoderna delle postmoderne” : policentrica, sfrangiata, filamentosa, una fune che si sfilaccia intorno alla statale adriatica. Insomma, Pescara è un’immensa, indifferenziata, piatta periferia.
Vi svelo un segreto: gli architetti e gli urbanisti adorano le periferie, venerano quei luoghi senza struttura o gerarchia, dove non c’è un baricentro e un intorno, un centro e una circonferenza, un sole e una galassia. E Pescara sembrerebbe non deluderli mai. Anzi. Con i suoi mille centri commerciali, una superficie a parcheggi pari al parco della Majella, chilometri di strade asfaltate, un’edilizia indifferenziata punteggiata da centralità eccellenti firmate da Bohigas, Fuksas, Ito, Pescara è la gioia di chi ha profetizzato la fine dei luoghi dell’interazione sociale, la classica piazza, a favore di infiniti microspazi virtuali o consumistici.
Stranamente, però, se si osserva Pescara non dall’alto dell’airbus in arrivo da Milano ma ad altezza d’uomo mentre si cammina per Corso Umberto la domenica pomeriggio, si scopre che tutte le strade che vanno dalla stazione fino al mare sono un brulichio di persone. Un turbinio di uomini e donne che, come rispondendo a uno strano e imperscrutabile stimolo pavloviano, decidono di trovarsi tutti in centro.
Sorge spontanea una domanda: o urbanisti e sociologi postmoderni non sono mai stati la domenica pomeriggio nel “centro” di Pescara, o i Pescaresi non hanno mai letto niente, e forse mai lo faranno, che parli della fine del moderno in chiave sociale, urbanistica o architettonica. Immagino, pertanto, che con insolenza culturale e caparbietà intellettuale, gli abitanti di Pescara e zone limitrofe continueranno ancora per molto tempo a spostarsi da ogni dove verso Piazza Salotto anche a rischio di sembrare démodé agli occhi di urbanisti delusi.

di Giangi Caffio