Da “L’Italia maltrattata” di Francesco Erbani, Laterza 2003, pagg. 13-14:

“Più case si costruiscono, più ce ne vorrebbero, diceva Antonio Cederna sintetizzando l’illogicità di un meccanismo espansivo dell’edilizia che foderava il paese di cemento, ma che non soddisfaceva integralmente i bisogni e i cui orientamenti erano dettati o dalla rendita o dalla rapina o dal disordine. Mossa da diversi propulsori, l’attività edificatoria è stata l’industria che ha trascinato l’Italia fra le grandi potenze mondiali, ma che ha dissipato porzioni sempre più vaste e mai riproducibili di suolo. I risultati di questa potente intrapresa manipolatoria sono imponenti. Molte città italiane appaiono sformate, senza più bordi che ne definiscano il perimetro, circondate da una corona di quartieri la cui dominante fisica è offerta dalla casualità e dall’accumulo, e che, dopo pochi decenni di vita, entrano già nel rango del degrado e necessitano di risanamento. Si è consumato suolo con un’edilizia che a sua volta si consuma perché esaurisce in poco tempo il proprio ciclo, realizzando lo scopo non nella durata, non nella stabilità o nel conforto dell’abitare, bensì nel soddisfacimento di un profitto immediato.”