Da circa trent’anni all’interno del Campus di Chieti esistono delle strutture (incomplete) costruite dagli architetti Giorgio Grassi e Antonio Monestiroli per ospitare la Casa dello Studente. Costruite alla fine degli anni settanta ebbero una discreta risonanza nazionale, (il progetto è stato pubblicato dalla editrice Kappa in un numero monografico).
La logica insediativa espressa da questo edificio (una coppia di fabbricati simmetrici in comunicazione attraverso la piazza che li separa sul lato lungo segnato da un alto porticato) ha avuto un ruolo importante nel disegno planimetrico del nuovo complesso universitario. Ma le strutture appunto non sono mai state completate e per decenni gli scheletri in calcestruzzo armato hanno fatto bella mostra di se, incrementando il business degli affitti agli studenti!
L’Università ha però deciso di dotarsi comunque di una casa dello studente, e per farlo ha scelto di buttare giù le strutture e di costruirne di nuove!
Quello che resta oggi è questo cumulo di macerie…e la struttura della mensa. Intanto nei terreni prospicenti si specula nella costruzione del Villaggio Olimpico per i Giochi del Mediterraneo di Pescara 2009.
Il Campus si fregiava dell’intervento dei due architetti e di quello dello studio B.B.P.R. (il rettorato, fortunatamente ancora in piedi), oggi tra gli altri il progettista del villaggio olimpico (a pochi passi dal Campus) è l’Arch. Carmen Andriani (docente presso la Facoltà di Architettura di Pescara).
Il corpo docente della Facoltà di Architettura di Pescara ha tenuto ad esprimere il proprio dissenso alla demolizione e a sottolineare come si sarebbe potuto cogliere “…un’ occasione esemplare, di alto valore scientifico e culturale, per sperimentare nuove modalità attraverso le quali governare la reinterpretazione di un’opera interrotta…”
Qui trovate il testo completo della lettera dei docenti:Lettera di dissenso
Inutile dire che il C.A.P. sposa la volontà di recupero soprattuto se legata ad una innovativa volontà sperimentale di commistione fra l’opera di due maestri della nostra architettura e la freschezza progettuale delle nuove leve. Ci preme inoltre sottolineare come purtroppo da parte dell’amministrazione comunale non si colgano cenni di apertura, e tutto invece sembri sempre e comunque l’occasione buona per favorire l’imprenditoria edile che opera sempre nel rispetto dei dogmi del risparmio, oltre che economico, anche e soprattutto qualitativo!
Sulla qualità dell’opera non mi pronuncio (dire che non sono per questo tipo di cose è eufemistico), ma lo sperpero di denaro pubblico è qualcosa di incondivisibile a priori…
Maledetti burocrati/arrampicatori societari…
ciao peja…sei un grande!!! si in effetti non avevo dubbi circa la tua “propensione-architettonica” (tra l’altro la seguo con passione anch’io!) 😉
In realtà circa lo sperpero di denaro non so pronunciarmi…bisogna infatti ammettere che risanare strutture in calcestruzzo lasciate in abbandono per trent’anni non è cmq economico…ma in realtà quello che mi preme sottolineare è proprio la mancata capacità di coinvolgere nuove menti e mettersi in gioco immaginando nuove propspettive e commmistioni di linguaggi architettonici!
…in fondo sappiamo tutti cosa sorgerà su quelle macerie! …tuttosommato arricchirà la rubrica “palazzinari”!!! 😉
Ho lavorato qualche mese con un architetto allievo di Giorgio Grassi; quasi ogni giorno, prima di disegnare, ci dilungavamo piacevolmente a discutere sulle modalità di composizione, la forma e le parti dell’oggetto architettonico. I disegni del suo maestro, incorniciati alle pareti, supervisionavano i nostri discorsi: erano gli studi sulla Casa dello studente a Chieti. Visitando il Campus, oltre la realizzazione parziale e il degrado materico, è stato fastidioso osservare come, in un progetto basato su una composizione ritmica apprezzabile da una prospettiva centrale, mancasse un accesso che ne permettesse una reale fruizione.
A che sciocchezze vanno a pensare gli architetti! La vista, l’impianto, il ritmo, la snellezza, luce ed ombra sui volumi…temi che in poche ore, con un paio di ruspe, si riducono ad un tappeto di breccia e qualche matassa di ferro. Sono scossa dall’aver appreso la notizia di questo evento, aggravato dalla decisione, a quanto pare definitiva, della corte suprema spagnola di demolire il restauro del Teatro di Sagunto (http://www.patrimoniosos.it/rsol.php?op=getcomunicato&id=2245)
Mi chiedo che senso abbiano nella vita concreta concetti come etica, ricerca, qualità.
Magra consolazione (forse buonista ed un po’ forzata, ma ne sento il bisogno): la demolizione di un’architettura è l’annullamento della sua realizzazione, non del processo che l’ha generata; le demolizioni, infondo, innescano discussioni sulle opere, attestandone, seppur in minima parte, il valore.
Grazie per il lavoro di informazione.
Non sei contento? Avrai materiale per un nuovo post, no!? 😀
rispondendo a mmm; quello che è stato ponderato per moltissimo tempo oggi lo si distrugge in un attimo, e quello che si costruisce sopra è praticamente non pensato,forse uscito dalla mano di un anonimo disegnatore con la firma incollata addosso di un archistar…
spero solamente che almeno una volta si dia valore a qualcosa che esiste e non ad oggetti perduti.è bella la cosa che dici sulla forza dell’architettura che sopravvive nel suo processo ideativo alla distruzione della materia,anche se per la nostra cultura la materia è sacra.
@ mmm:
esatto sentenza di demolizione definitiva del teatro di Sagunto..a giorni posterò nuove sull’argomento!
grazie…
una riflessione per commentare mmm e dade:
“Clarice, città gloriosa”, conserva a modello l’antica città di ineguagliabile splendore. I secoli di degrado e abbandono
non fanno sì che essa perda identità, nè lustro, “[..]era tutto lì, disposto solamente in un ordine diverso, appropriato alle esigenze
degli abitanti.[..]” ed è proprio grazie a questi, coloro che, “[..] come topi brulicavano mossi dalla smania di rovistare e rodere,
di racimolare, come uccelli che nidificano[..]” che essa si conserva e si rigenera, con lo stesso atteggiamento della gloriosa Clarice.
Solo “[..] la nuova abbondanza [..]” le assopisce quell’ identità; e quanto più “[..] la nuova città s’insediava, tanto più si allontanava da quella[..]” (che era).
Allora i resti e le spoglia della città antica venivano conservati in teche, perdendo identità e funzionalità.
La città, se conservata, appare come gloriosa e ineguagliabile testimonianza di ciò che è stato, privata ormai di funzioni. Dunque è prossima alla sua morte.
Tuttavia essa, come ogni altra, non è nient’altro che un ricettacolo “[..] male assortito di carabattole sbrecciate e fuori uso [..]”…..l’unica regola che la rende “gloriosa” è la gestione.
In altre parole, la grandezza di una città è definita, non dal numero delle risorse che essa possiede nel territorio, ma dalla capacità degli abitanti di amministrarle e combinarle,
in modo che esse soddisfino appieno le necessita della comunità.
Il giusto atteggiamento sta dunque in coloro che “[..] come i topi brulicano mossi dalla smania di rovistare e rodere,
di racimolare,[..] di riusare il ferro battuto delle ringhiere per arrostire i gatti [..]”.
Ricombinare ciò che si possiede x adattarlo a nuove esigenze.
Le città invisibili
Mondadori – 1996
“La città e il nome”, Italo Calvino
….probabilmente siamo in periodo di transizione in cui la classe politica e quella dei professionisti credono che “Romolo sia il fratello di Remolo”, o che Cicerone abbia detto: “Meglio essere il primo in una piccola città che il secondo a Roma” [tanto per citare silvio e fuksas]
bellissimo questo pezzo Vittorio,è uno dei tanti che i nostri “dipendenti” ormai tutti hanno dimenticato per farsi vanto di cose vuote e inutili.
E’ tremenda (ma al tempo spesso bellissima) l’immagine dei “topi” che rovistano e riusano ferro battuto e ringhiere per arrostire gatti,secondo me i feticisti sono la seconda categoria di persone pericolose da tenere a debita distanza,non conoscono un limite a volte. Ci sono più reperti archeologici in case di “gente” che dove dovrebbero essere…poi se proprio i nostri magazzini sono strapieni di “robavecchia” che male c’è a venderli a chi potrebbe averne più cura??
Rimane il problema della casa dello studente…la cosa fondamentale!
l’indifferenza con la quale molte “teste” ci si sciacquano la bocca per promettere aria fritta è stomachevole!