Quella sul pregio, la qualità, e il valore storico e sociale di un manufatto architettonico è una discussione complessa e lunga, che risente, non meno, di fattori di sensibilità e conoscenze molto personali e soggettivi; una discussione legata quindi alle sensazioni ai ricordi e alla cultura (oltre che alla scala di valori) a cui ognuno di noi fa riferimento!

Non voglio quindi entrare nel merito, ma è certo che il disappunto, lo sconcerto, o l’entusiasmo e la soddisfazione suscitate dalla demolizione di un edificio è un interessante segnale di quanto ognuno di noi, ovvero la comunità percepiscano la città e l’architettura!

 

Per entrare nel merito della questione, trovo assolutamente di scarsa qualità, e tutto sommato povero di quei valori a cui accennavo, l’edificio di cui al post precedente (“Il moderno che mangia il Moderno”); trovo invece più interessante, e molto complesso da formulare il giudizio in merito all’area nella quale l’edificio è collocato, e la sua particolare situazione!

Infatti l’edificio si trova nella cortina di facciate che fa da quinta alle cosiddette aree di risulta (un’enorme risorsa che fa e ha fatto gola a molti e che costituisce la porta della città rispetto alla stazione centrale). E’ condivisibile, credo, l’opinione che si tratti di una quinta costruita (seppur nel rispetto di alcune comuni normative edilizie), rapidamente, soprattutto in risposta alle distruzioni belliche e più in là, come una successione di “toppe”, una corsa agli ultimi lotti utili. Insomma una linea di confine che segnava difatti il limite costruito prima della ferrovia, un limite (quasi una frattura), messo in evidenza dall’arretramento e soprelevazione negli anni ’80 della linea ferroviaria, e accentuato ancor più dall’enorme specchio dell’enorme facciata della nuova Stazione Centrale.

Naturalmente questo discorso non vale per tutta la lunghezza del viale che più a sud della sua lunghezza vede rispettabilissimi esempi di architettura Liberty, Razionalista e contemporanea ma vasta è la quantità di quel costruito anonimo o spesso osceno (frutto della speculazione degli anni ’70 e che non si è fermato nemmeno negli ’80)!

 

Nello specifico quindi niente di male se un privato decide di rimettere mano a qualcosa di fatiscente e magari perchè no anche di buttar giù per “fare meglio”, ma il problema sorge allor quando questi interventi proseguono sulla scia della filosofia degli anni ’70, ovvero quando questi interventi non sono governati a monte da una volontà di rinnovamento controllato e progettato a tavolino con i soggetti che rappresentano il bene PUBBLICO, ma rappresentano l’interesse di un solo soggetto!

 

E’ evidente che la mia critica è forse tanto eterea quanto senza precisi “colpevoli”; non si può, infatti, limitare l’attività di un privato (fortunatamente), ma si può evitare che agisca a discapito della collettività prevenendo attraverso gli strumenti urbanistici le volontà private e guidandole verso l’interesse collettivo! Se, infatti, da una parte la città non fa altro che espandersi (sotto i regolamenti edilizi ed i piani urbanistici), è vero pure che contemporaneamente questa non smette di mutare e rinnovarsi al suo interno; è plausibile, quindi, pensare a un documento che regolamenti il processo di ridisegno delle aree densamente costruite (che hanno sempre a che fare con la storia e il patrimonio culturale e architettonico). Quindi così come ci si munisce di piani particolareggiati per modificare il water front della città (piani che prevedono demolizioni e ricostruzioni), allo stesso modo ci si potrebbe orientare per quelle che sono le cortine scenografiche del centro della città e dei suoi quartieri più densamente costruiti, comunque soggetti sempre ad un continuo seppur più lento processo di cancellazione e riscrittura.

 

Se è vero perciò che la città è stratificazione, è anche vero che non è possibile sempre aggiungere, alle volte va anche sottratto per poter scrivere con nuovi caratteri le funzioni della città.

Corso Vittorio Emanuele sarà nei prossimi anni interessata da una serie di interventi che riguarderanno la costruzione della mediateca, del teatro e dei parcheggi interrati, nonché il nuovo terminal bus, inoltre si parla già da tempo di pedonalizzazione completa delle aree centrali (operazione già iniziata anni fa e che attende il completamento con il progetto di sottopassaggio carrabile proprio sulla stessa Corso Vittorio Emanuele), senza parlare dell’incremento di interventi che verranno generati dai privati in relazione all’imminente svolgersi dei Giochi del Mediterraneo.

 

Queste righe sono in fondo per muovere una critica che è anche un auspicio e una suggerimento, quello cioè di non affidare a sporadiche iniziative private il ridisegno della città, non mi sento perciò di criticare la demolizione del palazzo di Corso Vittorio in quanto tale, ma sono invece convinto di come questo e simili interventi debbano ricadere all’interno di un progetto più ampio, alla cui definizione partecipino più soggetti (pubblici e privati) competenti!