A proposito del nuovo polo universitario pescarese.

 

Può lo spazio intellettuale e architettonico di una scuola reclamare ancora qualche capacità pedagogica e d’ aggregazione o siamo davvero condannati a rifugiarci, come studenti, professionisti e cittadini, in palazzine e negozi? Tra volontà d’ integrazione e reali rischi di isolamento, alcune considerazioni suggerite dalla recente espansione del polo universitario pescarese.

“I fatti non esistono finché il valore non li ha creati.”

Fedro

 

L’etica di un’istruzione pubblica non ce l’ha fatta e così solo grazie alle rigide regole del mercato globale che oggi in Italia si comprende che un’offerta universitaria competitiva, pubblica o privata che sia, non può prescindere da sedi e spazi didattici di qualità. Quest’ondata di rinnovamento coatto, favorito anche dalla recente autonomia, ha investito atenei metropolitani e di provincia che hanno deciso di aggiornare le proprie strutture affidandosi a progetti di architettura: la Bocconi di Milano (Grafton Architects), l’Università di Forlì (gruppo Rossi) e Genova ( Mario Bellini architects), con Roma ( campus di Piatralata), Camerino (programma generale di Umberto Cao e Gianluca Marucci) e Pescara (ABDR, prof.arch.Carmine Falasca, prof. arch. Ludovico Micara, Studio EU) sono tra le prime sedi a poter vantare spazi idonei per gli odierni standard accademici. Al di là della qualità dei singoli edifici, in alcuni casi la massa critica raggiunta da questi interventi proietta la dimensione universitaria direttamente nel progetto urbano, stimolando alcune riflessioni in merito alle sue conseguenze sull’abitare lo spazio contemporaneo.Infatti le strategie usate non sono tra loro indifferenti e i campus anglo- statunitensi con l’esemplare efficienza sembrerebbero mettere in crisi il modello classico di città universitaria che nonostante tutto resiste e continua a portare linfa vitale nei tessuti altrimenti a rischio come i centri storici, vedi esempio italiano. In previsione di un rinnovamento diffuso l’analisi di un caso concreto come quello del nuovo Polo Pindaro di Pescara offre l’occasione per riflettere su un tema caro all’architettura del novecento ma che stenta a trovare terreno fertile in Italia.

Con molto piacere, oggi pubblichiamo l’intervento di Roberto Damiani. 

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