“Non un albero nè una casa sono rimasti in piedi, il muro più alto vi arriva al ginocchio…il vento non solleva un granello di polvere, tutto sembra già schedato e giudicato”. Sono le parole con cui Ennio Flaiano descrive Francavilla dopo essere stata minata e rasa al suolo dalle truppe tedesche durante il secondo conflitto mondiale: gli edifici rimasti in piedi si attestarono intorno al 2% del totale.

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Sotto questa luce appare evidente la valenza storica degli edifici sopravvissuti, tra questi: i ruderi delle mura di cinta e delle torri medievali, un Palazzo del XVII sec. denominato Torre Ciarrapico, i resti della Chiesa di San Francesco, probabilmente del XII sec.; Giuseppe Iacone descrive quest’area come una sorta di “acropoli”, perchè sita sulla vetta di un colle prospicente il mare e per la sua conformazione, una cittadella difesa dalla sua stessa posizione: è denominata, infatti, La Civitella.

Rimango ancora attonita al pensiero dello stato di noncuranza in cui verte questa porzione di città; ho scelto di indagarne le vicende storiche sia per comprenderne le dinamiche, ma soprattutto per ribadirne il valore.

La chiesa di San Francesco risale, probabilmente, al XII sec., allora consacrata a San Giovanni Battista; la prima fonte certa documenta il suo acquisto nel XIII sec. e l’edificazione di un convento ad opera di un gruppo di frati francescani; fu chiuso nel 1652 a seguito della Soppressione Innocenziana; una descrizione di Pietro Piccirilli documenta l’esistenza della chiesa alla fine del XVIII sec.. Oggi questo rudere ospita una piccola cappella chiusa al pubblico ed una stanza utilizzata come garage per biciclette dagli abitanti delle case adiacenti.

Il palazzo nacque come sede baronale, durante la guerra venne utilizzato dai tedeschi come quartier generale e punto d’avvistamento: deve alla sua posizione e alla loggia all’ultimo piano il motivo della sua integrità; nel dopoguerra diventò di proprietà comunale e, nel 1988, subì un restauro, ad opera dell’ing. R. Raciti. Per un po’ di tempo si pensò di rendere questo spazio una “Torre slow-food”, ma il progetto, attendendo la costruzione dell’ascensore che permettesse l’abbattimento delle barriere architettoniche, ha perso vigore ed appare, all’oggi, tramontata.

Nel 2004 l’associazione culturale Lalipè decise di organizzare una mostra per artisti emergenti del territorio, nacque l’idea di utilizzare Torre Ciarrapico, ancora in disuso, che si rivelò particolarmente adatta, in special modo per la sua valenza scenografica (vedi www.spazievasi.it); questa iniziativa valse all’associazione la possibilità di utilizzare la Torre come sede, seppure provvisoria, e all’edificio di essere manutenuto e conosciuto; ma l’ufficialità della destinazione di alcuni spazi a Lalipè non è mai stata concessa.

Nel 2008 sono iniziati i lavori per la realizzazione di un ascensore panoramico, che, se da una lato permetterà la fruizione pubblica della Torre, ne distruggerà l’unità architettonica, utilizzando un linguaggio tecnologico fuori luogo e posizionandosi sul lato maggiormente visibile.

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La Civitella soffre, più che del singolo intervento in sé, della mancanza di un progetto unitario di restauro urbano, nonostante il valore storico-archeologico dell’area.

La lettura dello stato attuale di questa porzione di città è intimamente connessa alle vicende del dopoguerra; le decisioni circa la ricostruzione furono dettate dall’emergenza. Nel 1947 duecento famiglie vivevano ancora nei campi profughi o come sfollati nei paesi limitrofi, (inizialmente furono circa seimilacinquecento); nel 1951 venne approvato il piano di ricostruzione dell’ing. Vittorio Ricci, preferito al più costoso piano Masci-Bonfanti.

Il progetto scartato è degno di riflessione poichè costruito intorno ad una lucida visione della città, dotata di un nuovo sistema viario, strutturata in due centri: quello turistico nella zona Sirena e quello economico-amministrativo a San Franco, l’antico borgo; il piano prevedeva inoltre lo spostamento della ferrovia. Con il senno di poi quel progetto appare lungimirante ed anticipatore delle problematiche urbanistiche dell’attuale città.

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Il piano Ricci lasciò, invece, invariato lo schema viario a spina di pesce del borgo, ampliando le rue disposte perpendicolarmente a Corso Roma, la via principale; l’esigenza sociale spinse ad edificare in questa zona molte opere di edilizia popolare.

Oggi la questione di una riqualificazione urbanistica e della tutela degli edifici storici sono connesse a criticità di ordine sociale: il quartiere, da antico centro, è diventato periferia: ci sono poche attività commerciali ed è scarsamente frequentata, nonostante ospiti il Municipio ed edifici di interesse storico- culturale, quali Santa Maria Maggiore di Ludovico Quaroni, il Museo Michetti, ampliato da Mosè Ricci, custode di due tele del pittore a cui Francavilla ha dato i natali e promotore di molti eventi interessanti, ma scarsamente pubblicizzati; inoltre tra gli edifici si incontrano spesso punti panoramici.

La Civitella subisce vicende altalenanti, oltre agli edifici già descritti, si assiste con rassegnazione all’uso privato di una torre medievale e dei resti delle mura, o al triplicarsi di cubatura a seguito di una ristrutturazione.

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Francavilla ha vissuto l’esperienza degli errori di una ricostruzione frettolosa e priva di una visione di città, ma, evidentemente, non sa fare tesoro del passato. Eppure i francavillesi sono fieri della propria storia, della città giardino che valse al paese l’appellativo di perla del mediterraneo agli inizi del XIX sec..

Con rammarico devo affermare che il passato è qui un ricordo e non un maestro.

Agnese D’Orazio

P.S.

Alla luce di questo si può leggere anche l’edificazione di uno dei pochi tratti di lungomare non Francavillizzati, presso i confini con Pescara (Francavillizzazione è il termine utilizzato per definire la cementificazione costiera!).

Fonti bibliografiche:

Chieti e la sua provincia. I Comuni., 2002.

A. Erseghe, G. Ferrari, M. Ricci, Francesco Bonfanti Architetto, 1986.

G. Iacone, La Torre Ciarrapico e la chiesa di San Francesco, 1988