piazza di Nuova Gibellina, una new town (http://it.wikipedia.org/wiki/Gibellina)

Sono parzialmente rilassato adesso, quando vedo la reazione aquilana sulla ricerca della propria identità e dei valori, dopo il dramma avvenuto.
Catastrofi naturali prescindono dall’incuria dell’uomo e dalle scelte azzardate che ci spingono con violenza verso casi-limite come Gibellina, una new town da laboratorio hollywoodiano che guarda con miseria d’animo il cretto di Burri, grande colata bianca sulle spoglie dei resti urbani dilaniati dal sisma del 1968.

Li anche vedo Pescara, martoriata da “terremoti” più silenti, dal dolore più diluito nel tempo e pur sempre costante, nati dalla volontà precisa del rifiuto di se stessi, del ricrearsi con la sola logica speculativa, così raggiungendo la fisionomia sociale di un grande Cretto che si regge su effimeri slogan.

I palazzinari stanno dietro l’angolo, già si leccano i baffi, il rito si ripete ad oltranza, nuove volumetrie di materia molto debole, nuovi scempi urbani e sub-urbani.
Meglio star fermi allora!!
Qui oggi invece possiamo decidere per tutto, vediamo l’ospedale civile de L’Aquila, le quali strutture sono state il risultato di cantieri a singhiozzo e qui possiamo accostarlo idealmente all’idea scellerata del recupero palazzaccio di Bucchianico dopo 40 anni di assenza di funzione e manutenzione.
Scrolliamoci di dosso ogni retorica da campagna elettorale quando vediamo Borgo Marino o la filanda di via Monte Bolza a Pescara, la Pescara vera che gli interessi privati non vogliono più, anche negli ultimi lacerti.
L’Abruzzo è tutta un dolore, tutta un crollo, tutta una tremenda perdita, e le perdite si avvertono più nel domani che nel presente, quando altri fattori esterni ci inviteranno (facendo leva sulla nostra crescente pigrizia intellettuale) a dimenticare, quando guardando ai nodi che vengono al pettine preferiamo i soldi e la sterilità alla crescita e il ricordo.

Quando, infine, guardiamo Collemaggio con transetti e abside a terra, le porte della città, Santa Giusta, come tante chiese e come tante case, ci si limita ingenuamente a sperare in un buon restauro, in tal modo per il tessuto storico minore che lo si passa per irrimediabilmente lesionato, quando basterebbe restaurarlo e non sostituirlo, realtà tutte difficilmente controllabili. Che questo non sia scambiato per un appunto di rassegnazione.