Il gruppo tecnico composto da giovani professionisti aquilani under 40 ha presentato ieri il suo work in progress per la ricostruzione della città de L’Aquila, un masterplan che vuole partire dal basso, come dice l’arch. Marco Morante, autoctono, senza preconcetti e in piena onestà intellettuale.

Le linee programmatiche del Collettivo99 vogliono riallacciare i rapporti urbani e umani evitando la cristallizzazione del centro storico in un cretto, esse si inseriscono in tre macro-aree tematiche:

1.per la città storica intervenire con piccoli innesti funzionali alla riappropriazione graduali delle parti centrali (corso, piazza duomo..) con un progetto partecipato, dove vengono coinvolti in prima persona gli abitanti del luogo.
2.per le città intermedie trovare una identità laddove non c’è mai stata. Parliamo delle periferie , eventuali prossime isole di produzione energetica, oggi più che mai realtà desolate e marginali.
3.per la città dislocata/o città-campagna, premettendo che la discussione sul piano C.A.S.E. è stato rimandato, avere la consapevolezza di tenere in progetto le cosidette “new town”, non come città satelliti vuote in un futuro prossimo, divoratrici di verde, ma come strumento di regolazione dell’utilizzo del suolo, evitando inutili consumi di territorio, tutte soluzioni che dovrebbero essere all’insegna della reversibilità.

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Le visioni successive si sono concentrate su una sequenza di mappe, da quella del danno a le aree bioclimatiche, utili a stendere le basi del processo di ri-progettazione non invasiva e sostenibile, tenendo sempre conto dei meccanismi principali della macchina urbana in rapporto all’ambiente.

Hanno accompagnato la stesura del progetto di processo gli interventi di Metrogramma, Ian+ ed EcosistemaUrbano.
Ognuno ha saputo dare più di un contributo produttivo:
Andrea Boschetti esprime il disagio dell’estremismo urbanistico italiano ( i casi Milanesi ) dove non avviene un dialogo tra un impostazione di regime e un approccio speculativo.
Indispensabile, secondo lui, l’ascolto della città, l’aggiornamento continuo dei piani, l’arresto del consumo del suolo e il ridare vita ai vuoti coperti, dato modello allarmante è la crescita dei volumi sfitti nella città di Milano dal 1954, 35%, al 2008, 65%.
Si aggancia quindi all’idea della città intermedia questa città-rete, che vivrebbe in parte di luce propria fuori dal centro storico, in parte dipendente dal nucleo, creando rapporti di equilibrio che una città radiocentrica non permetterebbe di stabilire.
Non nega, infine, che questi cosiddetti epicentri della nuova progettazione di città sono luoghi di scontro dove i costruttori comprano pezzi di parco e aree dismesse, mentre  si lotta con una legge urbanistica rimasta immutata in riferimento al nucleo di antica formazione, armi spuntate in poche parole.

Di diverso taglio risolutivo per analoghi problemi è l’intervento romani di Re-living dei progettisti di IaN+, dove il ripopolamento del centro storico di Roma vuole essere effettuato con un’azione drastica e violenta come lo svuotamento degli edifici storici in disuso. I fronti dei grandi fabbricati pubblici divengono dei contenitori di un nuovo habitat, un sistema produttore di energia, attraversamento, servizi e alloggi.
Una visione di frontiera avvincente come teoria ma pericolosa nell’attuazione, che vuole essere una soluzione all’omologazione dei centri storici di oggi, luoghi a senso unico riprogettati per i turisti come brand disneyani riproducibili in serie.
EcosistemaUrbano lancia un dato ancor più catastrofico dello sviluppo urbano madrileno degli ultimi dieci anni: +50% crescita del costruito, +3% crescita demografica. Non è quindi solo un problema italiano.
Di fronte a questo spazio desolante la reazione è l’inserimento ideale di un albero. Un supporto tecnologico per la città bioclimatica che prende spunto dai Bagdir iraniani, trappole di vento per il raffrescamento naturale degli interni in un clima secco, filosofia di un eco-boulevard catalizzatore di interventi spontanei.
Altro caso studiato è il diradamento dei lotti edificati nel nucleo storico di Philadelphia, conseguenza del fenomeno di abbandono della casa nel centro città per un’abitazione più a contatto con la natura. L’immobile fatiscente viene abbattuto e il terreno diventa proprietà del comune, legge municipale che favorisce la liberazione del ghetto con un intervento di connessione orizzontale del verde espropriato a favore del rapporto tra pieni e vuoti.
Un ultimo sfogo (emotivo?) del progettista in questione lascia trasparire l’imbarazzo nel vedere i campi come spazio definito senza libertà di azione, una comunità serrata dove le persone non sono legate tra loro, impotenti di fronte ad un aiuto subìto anziché dato. Sensazione evidente anche nelle parole del dibattito venuto dopo, di chi denuncia questo progetto inavvicinabile che l’emergenza da la priorità di ricostruire a una figura esterna alle tradizioni e alla cultura di contesto, tagliando fuori i più frequenti fruitori della città.
Discorso poco riassumibile e difficile, una nuova sfida di coordinamento per la salvaguardia della stratificazione e della funzione vitale cittadina dei nostri fratelli aquilani.

Meritevole,inoltre, di citazione e di successivi approfondimenti l’intervento estemporaneo di Antonio Perrotti il quale molto energicamente e con una invidiabile passione militante racconta il senso delle scelte “imposte” dalla Protezione Civile su cittadini tecnici e amministrazioni.
Dice con forza no ai progetti imposti, calati dall’alto, non condivisi che rendono ingestibile il futuro sviluppo cittadino e soprattutto passato il periodo  di emergenza, si trasformano in insolvibili problemi di tipo economico, urbanistico, infrastrutturale e sociale.
E allora propone la ricostruzione in termini di un piano che nasca dagli attori locali e dai tecnici della città stessa, e che veda (perchè no?!) protagonisti da tutto il mondo. E poi ancora il recupero e la riconversione delle vecchie aree industriali dismesse e la requisizione di alloggi sfitti di nuova costruzione (quindi agibili) e la consegna immediata alle famiglie costrette nelle tende!!! Sottolinea inoltre, d’accordo con il collettivo l’importanza di ricostruire il centro storico, ma non banalmente com’era e dov’era, ma integrando l’antico (e i suoi valori identitari) con gli interventi contemporanei, continuando perciò quel processo di stratificazione (alla base della nostra cultura urbana e architettonica) ed evitando l’abbandono e lo svuotamento del centro a favore dei nuovi insediamenti.

Dunque un incontro pieno di ottime iniziative di interessanti spunti e nel segno del voler fare, al quale ci auguriamo seguano provvedimenti volti a favorire questa volontà, capacità e competenza!

 

Davide Fragasso, Alfredo Mantini

7 giugno 2009