Uno spaccato di mediocrità e invidie provinciali, quello girato nel 1992 da Mario Monicelli a Sulmona, forse il film che riesce a raccontare meglio di molti altri il lato cinico e insieme tradizionale e “goliardico” di questo territorio.

Il Maestro del cinema all’italiana ci racconta questa storia attraverso la voce narrante e spietatamente obiettiva di un bambino mentre legge il suo tema delle vacanze natalizie. La realtà del luogo che lui stesso reputa “il paese più bello del mondo” è il paese dove abitano i suoi nonni e che ogni Natale visita. Senza il video il suo tema ci farebbe pensare a un sogno d’inverno fatto di neve e calore familiare; il filmato che invece accompagna il candido testo introduttivo ci catapulta nelle vie di un paesotto che molti definirebbero trash, dove i militari prendono appuntamento con prostitute nella vigilia di Natale e i ragazzi giocano ai video-poker nel Gran Caffè dietro la statua di Ovidio lanciando fischi di apprezzamento verso ragazze ben vestite.

I nonni sono interpretati da Paolo Panelli (suo ultimo film da attore) e l’aquilana Pia Velsi, la stessa che parteciperà a film diretti da Castellani, De Crescenzo, Troisi, Loy, Milani e a una serie di famosi spot con Del Piero e la Chiabotto. I loro personaggi, temendo in un futuro imminente di venire mandati in un ospizio, chiedono ai figli di essere accolti tra una delle loro famiglie. Qui avviene il punto di rottura del vaso di Pandora, i veleni tenuti a bada dai quattro fratelli esplodono in una guerra fraticida dove tutti vogliono una parte dell’eredità ma nessuno vuole prendersi cura dell’anziana coppia di genitori. Con essi saltano fuori intrecci e si svelano segreti mai confidati, come l’omosessualità di Alfredo (Alessandro Haber) che ammette di convivere da dieci anni con un vigilantes una volta messo alle strette dai fratelli che lo volevano badante dei genitori, o come la relazione clandestina tra i cognati Gina (Cinzia Leone) e Michele (Tommaso Bianco), femme fatale modenese lei e geometra teramano lui, marito di Lina (Marina Confalone) dipendente della biblioteca comunale sofferente di colite spastica, madre di Mauro (Riccardo Scontrini) voce narrante del film.

Durante la visione di P.S. ci accorgiamo di particolari esposti e nascosti che definiscono un contesto di tradizioni popolari come ad es. “la squilla“, rituale natalizio non sulmonese ma proprio della città di Lanciano, dove al tintinnare della processione ogni lancianese bacia la mano del “capo di casa” (M.M. era inizialmente intenzionato a girare il film a Lanciano anzichè a Sulmona).                                                                                                                                                   Nelle scene finali del veglione di Capodanno fa la sua comparsata una giovane Paola Pelino (la regina dei confetti di Sulmona) che parla al cellulare nella “Palomba”, luogo di ritrovo delle grandi famiglie dei peligni, mentre nello stesso frangente appare più volte Alfredo Cohen nel ruolo di Osvaldo “la fendessa” (qui un altro riferimento al lato frentano dell’Abruzzo, Alfredo D’Aloisio Cohen è di origini lancianesi, non sono riuscito a capire il significato di fendessa) e gestisce una boutique in centro; chi ha visto il film dovrebbe ricordare la battuta iniziale nel corale del borgo, fatta al passaggio di una prostituta che rimorchia due militari:” E’ passata la casta diva, il fiore della gioventù ci toglie”.

Wikipedia ci ricorda che in una scena appare Loredana Bertè dalla televisione di casa, oggetto di commenti da pare del personaggio interpretato da Haber, riprova di una connotazione culturale piccolo-borghese tipica della classica famiglia provinciale che traspare anche dal ruolo di Monica (Eleonora Alberti) la piccola figlia di Gina che vuole diventare ballerina di Fantastico (un “amici di Maria De Filippi” ante litteram) ed è golosa di bocconotti alla cioccolata.

In verità il finale ci conferma un profilo di tragicommedia, più che di commedia, disarmante e geniale la semplicità nel raccontare i valori dimenticati della famiglia italiana, l’ipocrisia e le ansie nel modo in cui si manifestavano negli anni novanta durante la fine di un finto benessere collettivo, dove ognuno iniziava ad ambire di essere migliore degli altri e forse una lotta anche a chi rubava di più, teoria ancora oggi valida.

Gran parte del film è strutturato nell’appartamento del centro storico di Sulmona che si affaccia sulla suggestiva discesa di Borgo Sant’Agata, tra Porta Filiamabili e Porta Sant’Antonio.