L’abbattimento di Palazzo Sirena ha dato seguito a numerose polemiche. Qualche giorno dopo l’avvio dei lavori, siamo andati a trovare Franco Summa, artista che stimiamo particolarmente per le sue opere materiali e per il suo profondo pensiero intellettuale. Fin dalla metà degli anni sessanta, Summa si interessa del rapporto uomo-ambiente, partecipa a mostre e concorsi nazionali ed internazionali in cui la sua ricerca si distinuge per originalità e carattere collettivo. Numerose le opere che portano la sua firma e che è possibile visionare sul sito http://www.francosumma.it/.

Franco Summa, Farsi un quadro…, 1971

 

Alla fine Palazzo Sirena è stato abbattuto. Cosa pensa di questa decisione?

Penso che sia stato un errore. Perché la sua immagine era, è un simbolo. Basta pensare alle migliaia di cartoline “Saluti da Francavilla” con la sua, spedite nel tempo. Insieme alla chiesa di San Franco di Ludovico Quaroni, è la prima architettura progettata e realizzata nel dopoguerra con intenti monumentali. Purtroppo contemporaneamente si è dato sciagurato avvio all’appropriazione del lungomare con costruzioni senza alcuna valenza e alcun rispetto per paesaggio e qualità ambientale. Nella mia opera “Farsi un Quadro della Città” (di speculazione) del ‘71, “inquadro” alcune di queste costruzioni tra cui quella di un edificio letteralmente costruito sul mare. Avendo visto le immagini di quella mia opera ambientale Franco Farias, giornalista della terza rete RAI, volle la mia collaborazione per la realizzazione di un documentario. Ne venne fuori un servizio giornalistico televisivo di denuncia; il video ottenne il primo premio in un concorso internazionale indetto dalla Comunità Europea su temi ambientali, ma non l’attenzione degli amministratori.

L’ultima opera dell’amministrazione sul litorale è il teatro del mare…

Non conosco come lo si intenda configurare e in quale luogo, non sono in grado, pertanto, di esprimere valutazioni. Posso invece manifestare un giudizio non positivo sulla configurazione del fronte piazza del “nuovo” palazzo Sirena così come appare in una rappresentazione 3D.

L’architetto sulla relazione fa un riferimento al monumento funerario…

Bisogna sempre verificare se i riferimenti hanno un senso pertinente il tema affrontato. In quel contesto e su quella architettura il termine ” funerario” mi pare improprio.

C’è anche l’intenzione di fare un parcheggio sotterraneo sotto la piazza…

Non si è voluto riqualificare il Palazzo Sirena perché la ristrutturazione avrebbe avuto un costo eccessivo e poi viene fuori l’idea di un parcheggio ipogeo di costosa realizzazione e a rischio allagamenti. Sarebbe piuttosto opportuno studiare un modo efficace per ridurre il traffico automobilistico al fine di rendere il centro a misura d’uomo.

E a Francavilla i sottopassi sono costantemente allagati…

I problemi che si assommano anziché essere risolti manifestano la incapacità, o mancanza di volontà, di considerare l’insieme degli aspetti urbani nelle loro dimensione socioculturali per poter progettare la dimensione di vita che si vuol vivere.

Uno dei motivi per cui hanno abbattuto Palazzo Sirena è stato quello di poter usufruire della piazza per dei concerti. Ma con il parcheggio e gli accessi interrati diventa difficile la gestione stessa di quel luogo…

Se si abbatte un edificio significativo, devi costruire qualcosa di ancora più significativo, più importante, più rispondente alla logica sociale, simbolica, memoriale del presente, non una struttura il cui funzionamento incide negativamente sul luogo.

Chi ha voluto la demolizione pensa che l’edificio, non avendo ancora compiuto 70 anni, dunque non vincolabile, non si possa definire un edificio storico significativo.

In una buona conduzione della cosa pubblica i Comuni, con il supporto di professionisti e studiosi qualificati, dovrebbero saper individuare cosa conservare e cosa no al di là dei settanta anni. Il Palazzo Sirena andava riconfigurato come polo di attrazione culturale trasferendovi, come momento fondante, la collezione di opere acquisite nel tempo dal Premio Michetti che è la testimonianza oggettuale di oltre sessantasette edizioni di mostre nazionali e internazionali. Pensare lecito l’abbattimento di un edificio, anche se monumentale, perché non ha 70 anni, non ha senso: il monumento è un valore in sé.

L’idea della Francavilla futura del Sindaco si regge sulle tre polarità/piazze…

Bisogna esaminare le diverse possibilità senza remore pregiudiziali per giungere ad un “disegno” architettonico e urbanistico adeguato alle funzioni sociali e culturali e ad un desiderio di bellezza. In altre parole la città va ripensata in tutte le sue dimensioni conservandone i segni memoriali e monumentali e innovandola con opere di alta qualità.

Lei dice che la città è il luogo dei segni, delle forme, dei simboli stratificati nell’inconscio collettivo. Molti non si sono sentiti rappresentati dalla Sirena o semplicemente non erano abbastanza ‘partecipi’ e dunque coscienti della loro città?

Vedendo quell’immobile fatiscente, chiuso per oltre venti anni, è plausibile che la maggior parte dei cittadini abbia pensato “cosa lo teniamo a fare?”. La consapevolezza della “valenza segnica” di un elemento urbano è fatto di civiltà che la formazione scolastica dovrebbe far maturare, ma non c’entra nulla con l’inconscio collettivo che è, appunto, una dimensione di “non consapevolezza”; non ne derivano, “consapevoli” scelte indirizzate pro o contro qualcuno o qualcosa.

Lei è stato invitato ad esporre le sue opere in una personale lo scorso anno, invitato dalla Fondazione Michetti. Immagino sia a conoscenza delle difficoltà degli ultimi anni che hanno visto il Premio Michetti e, soprattutto, la Fondazione, tanto da dover vendere alcune opere, costringere il Presidente a lasciare l’incarico e saltare l’edizione corrente. Cosa pensa della vicenda? Come far rinascere una manifestazione artistica così importante, un tempo ospitata nello stesso Palazzo Sirena oggi abbattuto, e chi potrebbe farlo?

Che il Premio Michetti abbia perso una sua incisività da oltre venti anni è fatto evidente. Quando le prime edizioni erano allestite nel Palazzo Sirena, il Premio Michetti aveva una centralità culturale nell’ambito del dibattito nazionale sull’arte. Era uno degli eventi più seguiti dopo, ovviamente, la priorità assoluta della Biennale di Venezia. Malgrado lo stato di crisi, il presidente in carica nelle ultime edizioni si è generosamente impegnato per mantenere la continuità espositiva. Quest’anno, con la scadenza del suo mandato, il Premio non si è realizzato. L’unico modo per riacquistare un suo valore di presenza significativa sarebbe un ripensarsi in rapporto alla realtà di una vita individuale e sociale che, negli ultimi decenni, è totalmente cambiata.

E lei non pensa di proporsi come presidente?

Sarebbe un compito impegnativo e gravoso che non so se riuscirei a svolgere come vorrei. Comunque non penso di avanzare candidature.

Non pensa che parlare di spazio/edificio pubblico sia una questione politica?

Certo, politica viene da polis, città. Non può essere diversamente. Ma politica nel senso di ‘governo o ‘interpretazione e gestione della polis’ non sta attualmente procedendo positivamente. C’è il rischio che il progetto architettonico venga assoggettato a questo modo di ‘non-pensare’ la città. Gregotti chiude il suo studio perché sostiene che l’architettura non interessa più nessuno. La politica ha ‘partitizzato’ (non politicizzato) l’architettura assegnando incarichi secondo logiche diverse da quelle del buon progetto.

Per chiudere, due immagini: cosa hanno perso le nostre città abruzzesi e cosa stanno creando per una visione positiva del futuro.

Credo che l’architettura e l’urbanistica italiana abbiano una loro specificità oltre la condivisa mediterraneità. In Italia, oltre le città “capitale” Roma, Firenze, Venezia, Bologna, abbiamo Siena, Faenza, Pienza, Arezzo, Ferrara, Mantova…caratterizzate ciascuna da percorsi fisici e mentali assolutamente distintivi. Da noi, oltre le città capoluoghi, troviamo Penne, Loreto, Atri e altri piccoli centri, borghi caratterizzati da modi esemplari di concepire il vivere urbano; modi dai quali è possibile trarre valide indicazioni per riaffrontare il tema della costruzione degli ambienti della vita con una originale identità configurata come moderna. Città, dunque, come opere d’arte italiane, che non sono solo quelle correntemente denominate “città d’arte”.

 

 

Intervista a cura di Alfredo Mantini e Veronica Salomone