Qualche tempo fa, in “missione” con i ragazzi del C.A.P. abbiamo visitato una piccola cittadina della Marsica: San Benedetto dei Marsi.

Questo post è il racconto di un delicato e controverso intervento architettonico legato alla funzionalizzazione e protezione di un interessante ritrovamento archeologico risalente al I° sec a.C.

Si tratta del rinvenimento, a seguito di lavori effettuati dall’allora società telefonica Sip, del tracciato dell’antica Marruvium (città romana sulle rive del Fucino), e di una domus romana sita su questo percorso (oggi principale arteria della cittadina). Erano, comunque, già numerosi i rinvenimenti di questo antico nucleo, e noti dal 1980.L’attuale città di S. Benedetto dei Marsi, costruita dopo il terremoto di Avezzano, sorge proprio sulla maglia dell’antica Marruvium, ricalcandone le dimensioni e l’orientamento, ma in misura leggermente traslata, cosicchè molti reperti si trovano sotto il terreno a metà tra le fondazioni del nuovo edificato e la rete viabile.

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Come scrive A. Campanelli, Soprintendente per i Beni Archeologici in Abruzzo: “La città, dunque, subisce il proprio passato che rappresenta, per ovvi motivi di tutela un forte vincolo alla trasformazione edilizia, senza possibilità di trarre adeguati vantaggi dal patrimonio di cui è depositaria, ne come attrattore turistico, ne come elemento di crescita culturale.” (da “Conservare il Passato” – a cura di Claudio Varagnoli – Gangemi Editore).

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L’iter lungo e difficoltoso ha visto dal 1992 a oggi, ha visto dapprima portare alla luce lo scavo, poi ricoperlo per l’impossibilità di trovare subito una soluzione di museificazione, poi finalmente nel 1998 per volontà dell’amministrazione di valorizzare il patrimonio storico, si è deciso di riportarlo in superficiee realizzare una teca di protezione. L’attuale struttura di copertura, finanziata dall’amministrazione comunale, è stata realizzata dall’Arch. Giorgi e dall’Ing. Prozzi.

La struttura è a mio personale parere piuttosto interessante, alquanto audace, se non altro per la sua dignità compositiva e il coraggio di raccontarsi per la sua contemporaneità, ma restano evidenti i problemi di relazione e integrazione con il contesto, e di dialogo con le esigenze della cittadinanza a cui è precluso l’attraversamento carrabile della principale via della città, inoltre l’evidente supremazia della copertura rispetto al reperto soggetto protagonista dell’intervento, risultando probabilmente pesante ed oppressiva se non addirittura invasiva. 

Indagando, abbiamo scoperto che esiste un interessante alternativa progettuale elaborata dal Prof. Varagnoli, in risposta al problema dell’attraversamento carrabile del corso, alla relazione tra questo e la copertura (riducendo al minimo l’impatto che la copertura ha con il tessuto cittadino), e alla valorizzazione e fruizione dei resti della domus. Il progetto elaborato in un continuo confronto con la Soprintendenza, cerca di superare, inoltre, alcuni problemi relativi alla conservazione dello scavo e ai ricorrenti problemi causati dall’effetto serra tipico delle strutture in acciaio e vetro.

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Il progetto prevede il “ripristino” dell’assetto carrabile del corso per una dimensione di 8 metri, mentre per i restanti 6 metri della larghezza complessiva, la pavimentazione ad uso pedonale e ciclabile, mentre l’accesso allo scavo è garantito da un sistema di discesa verticale.

Sebbene non esista un ideale intervento di valorizzazione archeologica, ne una univoca scuola di pensiero riguardo ai materiali e alle strutture più idonee, il progetto del Prof. Varagnoli oltre a risolvere il problema della viabiità, coniuga le valenze estetiche con le richieste di contenimento d’impatto visivo e d’integrazione con il contesto urbano.

Queste le planimetrie di progetto: pianta-quota_0 ; pianta quota +1

Sebbene personalmente trovi affascinante la soluzione della teca per la sua neutralità compositiva e la sua versatilità formale; la soluzione che viene proposta sottrae il reperto archeologico ad una astrazione e ad un isolamento dello stesso dal tessuto urbano, e anzi, paradossalmente, nascondendolo alla vista, lo restituisce alla sua naturale posizione di tassello nella stratificazione della città, rendendolo parte di una ricerca culturale più alta e altra, proprio grazie alla creazione di un percorso verticale di accesso alla quota dello scavo.

Di seguito la relazione di progetto: relazione