Leggendo le parole dell’arcivescovo Gianfranco Ravasi,  ministro della cultura della Santa Sede, pubblicate alcuni giorni fa su repubblica, si percepisce lo stato di crisi (non solo economica) a cui anche la Chiesa non può sottrarsi e con cui anzi è costretta a fare venialmente i conti!
Ma senza scendere troppo nel merito delle parole di Ravasi, il quale suggerisce una razionalizzazione delle risorse economiche ed immobiliari, proponendo la vendita (nessuna novità…è pratica ormai secolare, che ha anzi prodotto i migliori ibridi della storia dell’architettura) e l’abbattimento di vecchie chiese cadute in disuso e afflitte da difetti di partecipazione dei fedeli (soprattutto nelle piccole chiese dei paesini montani); si potrebbe forse approfondire circa i criteri per la scelta di quali chiese siano meritevoli di interventi di recupero e conservazione, e quali invece possano essere vendute. Ci si appella a principi di valore artistico e architettonico, sui quali si può più o meno giungere a conclusioni simili, o ancora a principi di valore storico e di capacità identificativo-simbolica per le comunità, e già qui qualcosa mi dice che la concertazione sarebbe più ardua. Ma resta comunque vero che questo paese non vede un periodo di rinnovamento architettonico da ormai più d’un secolo, e che a questi ritmi il suolo sarà saturo entro pochi anni (l’abbattimento e la ricostruzione è prassi consolidata in paesi anche più civili del nostro!); certo fa rabbia, altresì, pensare che sia più facile sacrificare e smantellare il patrimonio storico culturale degli edifici di culto piuttosto che applicare dei semplici principi di sostituzione edilizia nelle periferie cittadine (ad edifici magari di becera edilizia degli anni ’70).

Superando però questa riflessione di carattere generale scendo nel merito della questione che l’articolo di Repubblica ha stimolato, ovvero le dichiarazioni pressoché concomitanti di una delle figure più rappresentative della cultura architettonica europea (notoriamente vicino alle sfere ecclesiastiche e progettista di  moltissimi edifici di culto), l’architetto Mario Botta.
Lascia spaesati la lettura di una sua intervista rilasciata sempre a Repubblica, circa l’abbattimento delle vecchie chiese e/o la loro riconversione e rifunzionalizzazione.
L’architetto Botta appare infatti particolarmente cauto e prudente e suggerisce anzi: “Anche la più vecchia ed abbandonata canonica di campagna può avere il suo valore”. Dunque una chiesa non è mai un “prodotto” edilizio come tutti gli altri, a qualsiasi epoca essa appartenga. E ancora: “La chiesa non è mai un prodotto obsoleto che può essere venduto, riciclato o abbattuto a cuor leggero. Per le chiese deve valere la stessa attenzione che si ha per le antiche rovine che, a Roma, a Firenze o in tante altre città europee, sono conservate e accudite”.

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Ma allora come interpretare il suo progetto per la “nuova” chiesa di San Rocco a Sambuceto?
La chiesa di Botta, spasmodicamente voluta dal parroco, e donata poi generosamente dall’architetto, sostituirà l’attuale edificio (ultracinquantenne e quindi vincolabile) realizzato dall’arch. Paride Pozzi. Attenzione non intendo fare l’apologia della contemporaneità e un romantico richiamo al pittoresco e/o all’antico (di fronte al quale tra l’altro non siamo presenti), non intendo certamente mentire a me stesso, evidentemente la chiesa dell’architetto svizzero (se pur uno dei suoi tanti poliedri) è comunque un interessante edificio, un’architettura capace di cambiare il volto della piazza, ridisegnare il paesaggio e, sembrerà tautologico dirlo, di creare Architettura; ma non va dimenticato il fatto che l’opera è stata fortemente contestata dalla comunità locale, che non ha mai chiesto un nuovo edificio di culto, che riconosce in quello attuale tutti i valori di aggregazione, comunione, e sociali a cui Ravasi e lo stesso Botta fanno riferimento.
Se la guardassimo altresì con gli occhi della storia, beh si potrebbe di certo dire che la chiesa non ne è priva, in primo luogo perché la sua progettazione è  stata opera di un notevole progettista locale, autore di molte altre architetture sul territorio, in secondo luogo la storia ha sempre una valenza relativa, certamente se confrontato con il patrimonio artistico-architettonico romano questa chiesa è ben poca cosa, ma se contestualizzato appare certamente evidente il valore dell’edificio, la sua memoria e la capacità di creare un riferimento.
Inoltre l’opera avrebbe comunque un costo di 9 milioni di euro (di cui 1 milione a carico del comune), e anche se visto nell’ottica del risparmio e della razionalizzazione delle spese, l’operazione avrebbe poco senso.
Senza quindi scendere nel dettaglio del progetto, resta comunque un vuoto tra la scelta, il progetto, l’opera, e le parole dell’architetto. Resta comunque l’incongruenza!

Altro e approfondimenti su:

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/12/02/botta-attenti-dismettere.html
http://fidesetforma.blogspot.com/2009/06/il-nuovo-cubo-di-botta-sambuceto-e.html

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/12/02/chiesa-vendesi.html

Davide Fragasso