In agro del Comune di Rapino, proprio ai piedi della Majella, in un’area tra le più ricche di testimonianze storiche ed archeologiche dell’intero massiccio montuoso, si erge ancora a dispetto dei secoli e delle manomissioni subite, l’ultima testimonianza di un abitato fortificato medievale che gli abati dello scomparso monastero di S. Salvatore a Majella avevano voluto a difesa dell’imbocco della valle che conduceva all’abbazia: la Torre del Colle. Purtroppo l’area, nonostante l’accertata rilevanza storico-culturale (basti ricordare che sul versante opposto del fosso, proprio di fronte alla torre, si apre la “Grotta del Colle”, sito archeologico di grande rilevanza, che ha conservato le tracce della presenza ininterrotta dell’uomo dal Paleolitico ai nostri giorni) non è mai stata sufficientemente tutelata: una vasta necropoli italica ed alcune ville romane erano state infatti quasi interamente devastate negli anni ’80 dall’attività estrattiva di materiale inerte, mentre poco più a monte, le importanti tracce dell’abitato fortificato marrucino conosciuto come “Civita Danzica”, costituite da tratti di mura poligonali a secco e fondi di capanna scavati nella roccia, sono oggi ricoperte da una riforestazione selvaggia e incontrollata. Per non parlare poi dell’area ove un tempo sorgeva il monastero di S. Salvatore a Majella, capolavoro dell’arte romanica abruzzese: negli anni ’70 è stata sventrata in pieno dal passaggio di una strada ed i pochi ruderi superstiti sono oggi sepolti e dimenticati. Ultimo sito a sparire in ordine di tempo è la “Grotta degli Orsi volanti”, individuata agli inizi degli anni ’90 sul fronte della maggiore delle cave della zona, custode di testimonianze legate alla presenza dell’Uomo di Neanderthal e della fauna dell’era glaciale, che è completamente franata a valle.

La Torre del Colle è quanto resta di un castello medievale edificato proprio per volere degli abati del celebre e potente monastero di San Salvatore a Majella, di cui seguì le vicissitudini fino allo spopolamento ed al completo abbandono, avvenuto alla fine del ‘400: attualmente è l’unica testimonianza superstite delle fortificazioni medievali pedemontane della Majella nel territorio della provincia di Chieti. Nei documenti riguardanti il cenobio benedettino, conservati nell’archivio capitolare di San Pietro a Roma, il Castello del Colle (Castro Collis Magielle) compare per la prima volta nel 1220: è pertanto plausibile far risalire l’epoca della sua edificazione al primo ventennio del XIII secolo. Durante il XV secolo, quando l’abbazia di San Salvatore a Majella perdette gran parte dei suoi poteri e dei possedimenti, il castello del Colle prese pian piano a spopolarsi, fino al completo abbandono da parte della popolazione, trasferitasi a Rapino e nelle contrade circostanti. Oggi, tra il folto della vegetazione, la torre emerge a fatica reggendosi ancora miracolosamente in piedi, nonostante sia mancante di un intero spigolo. Il rischio di crollo definitivo dei ruderi è altissimo, proprio per le attuali condizioni di precaria stabilità. L’abbazia e alcuni suoi possedimenti, tra cui la torre e l’area circostante, vennero definitivamente incorporate alla Basilica Vaticana da papa Giulio III nel 1552 e successivamente assegnate al vescovo di Chieti, rimasto titolare della proprietà fino ai nostri giorni.

Più volte in passato abbiamo sottolineato l’importanza del monumento su pubblicazioni e riviste; ne abbiamo inoltre segnalato lo stato di degrado all’Istituto Italiano dei Castelli, il quale con lettera del 20 gennaio 2003 sollecitava l’allora ministro Urbani e le Soprintendenze, oltre agli Enti territoriali (Regione, Provincia, Comune e Genio Civile), a prendere i dovuti provvedimenti affinché si intervenisse con urgenza per salvaguardare il monumento. Nulla però è stato fatto.

Ma veniamo agli avvenimenti recenti. Nell’estate del 2008 ci era giunta notizia di un cittadino di Rapino che, in pubblico, si era più volte vantato di essere riuscito ad “acquistare” la Torre del Colle. Svolgemmo alcune brevi indagini in Catasto e verificammo che la vendita era effettivamente avvenuta il giorno 19 marzo 2008 presso un noto studio notarile teatino (atto repert. 54725, trascritto alla Conservatoria dei Registri Immobiliari di Chieti al n. 5852.1/2008). Ci recammo pertanto presso il notaio per chiedere una copia dell’atto ma, nonostante i rogiti notarili siano pubblici, quindi a disposizione di tutti coloro che vogliano prenderne visione o chiederne copia pagando i relativi diritti, ci fu risposto dalla segreteria che occorreva una richiesta scritta, supportata da opportune e valide motivazioni; non insistemmo più di tanto perché, fortunatamente, tutti i rogiti notarili, in quanto pubblici, sono consultabili presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari: la lettura dell’atto ci lasciò sgomenti. La vendita era effettivamente avvenuta, ma nella descrizione non vi era alcun riferimento (né poteva esserci!) alla circostanza che l’oggetto della compravendita fosse in realtà una torre medievale, cioè un monumento che dovrebbe appartenere a tutta la collettività; una persona delegata dal Seminario Arcivescovile di Chieti, ente proprietario ed intestatario catastale del bene, aveva ceduto un semplice fabbricato rurale di 37 mq. (questa era la destinazione catastale del manufatto) al Foglio di Mappa 18 del Comune di Rapino, particella 16, in pessime condizioni e allo stato di rudere, in loc. Torre del Colle (senza nessuna ulteriore indicazione che si trattava proprio della Torre del Colle…) per un prezzo irrisorio, pagato con assegno bancario! I dati catastali e gli estremi della compravendita possono essere consultati da chiunque, gratuitamente, presso qualunque sportello catastale.

Detto ciò, è inevitabile chiedersi come mai in questo Paese, nel XXI secolo, risulti ancora possibile effettuare certe operazioni; ci si chiede come si possa liberamente vendere, e ovviamente acquistare, una torre del ‘200, monumento del nostro passato che meriterebbe ben altre attenzioni, come se si trattasse di un semplice fienile, raggirando lo Stato, gli Enti preposti alla tutela e l’intera comunità civile, oltre che il fisco (perché, detto francamente, il valore di un manufatto del XIII sec., sebbene alle condizioni di rudere, non può essere quello dichiarato nell’atto…).

Non entriamo nel merito delle leggi sulla tutela del patrimonio culturale italiano e sulle responsabilità di quanto accaduto, ci limitiamo semplicemente ad evidenziare che: 1) il monumento non è mai stato vincolato dalla Soprintendenza ai Beni Architettonici ed Artistici di L’Aquila (mentre avrebbe dovuto esserlo da quando le Soprintendenze sono state istituite); 2) il rogito notarile dovrebbe essere annullato, perché sono palesi le dichiarazioni non veritiere in merito alla descrizione del bene oggetto di compravendita; 3) la perizia tecnica sull’immobile, che l’Ente cedente avrebbe dovuto necessariamente far redigere ai fini della sua stima, avrebbe dovuto come minimo basarsi su un sopralluogo di verifica e tener conto dell’effettiva destinazione dell’edificio, anziché affidarsi alla mera descrizione catastale risalente agli anni ’30, che classificava come “fabbricati rurali” tutti quegli edifici che non potevano considerarsi “urbani”; 4) la legge, infine, dovrebbe consentire, in qualunque momento e senza alcuna limitazione di tempo, allo Stato o ad altri Enti territoriali, di esercitare il diritto di prelazione su tutti gli immobili storici compravenduti che possono essere considerati di “pubblico interesse”.

Sull’accaduto fu interpellato l’allora Sindaco del Comune di Rapino, il quale ci assicurò di essere già in contatto con la Direzione Regionale dei Beni Culturali e con la Soprintendenza BAAAS aquilana, con le quali erano state avviate le procedure necessarie per la reintegra del bene al patrimonio collettivo, ma da allora è passato più di un anno e null’altro si è saputo. Ne’ tanto meno sono state adottate contromisure da parte dell’Ente Parco Nazionale della Majella, nel cui perimetro il manufatto ricade; del resto, nei confronti dell’ingente patrimonio culturale, ricordato in premessa e che l’Ente Parco è chiamato a difendere, vi è stato fino ad oggi un disinteresse totale.

Non proviamo nemmeno ad immaginare quale potrà essere l’uso che l’acquirente farà del monumento (per ora si è limitato ad ostruire il transito sulla strada che conduce alla Torre e non avrebbe neanche potuto farlo, perché ha acquistato solo l’area delimitata dalle mura perimetrali dell’edificio, mentre il terreno circostante è ancora di proprietà della Curia), ma in mancanza di idoneo vincolo di tutela e del riconoscimento dello status di “Bene Culturale” di cui all’art. 13 del D.P.R. 233/2007, potrà farne ciò che vuole: trasformarlo nella locanda “Torre del Colle” oppure in “ostello medievale della gioventù”, agriturismo “dell’abate” oppure bed & breakfast “Il Templare”, o addirittura demolirlo integralmente, senza che nessuno, compreso la Commissione Comunale per l’Edilizia, possa opporsi, visto che non esiste vincolo. Non è nemmeno escluso che l’acquirente, animato da altissimi e nobilissimi intenti filantropici, restauri a proprie spese la torre e poi la restituisca, con gesto di profonda magnanimità, alla comunità civile: noi non ci crediamo, ma se anche fosse così, non sarebbe comunque la procedura più corretta da seguire.

Lucio Taraborrelli

Presidente dell’Archeoclub di Guardiagrele (CH)