Gran parte del patrimonio storico-architettonico abruzzese è stato passato “al setaccio” durante la seconda metà del XX secolo, vittima illustre fu la stratificazione barocca, ovvero stucchi e decorazioni seicentesche. Fautore di questa operazione il Soprintendente Mario Moretti, che documenta nel suo “Restauri d’ Abruzzo (1966-1972)” , De Luca Editore, i suoi numerosi incarichi in tutta la Regione, come la Cattedrale di San Giustino a Chieti, nella fattispecie la cripta che oggi conosciamo “spogliata” anche dal punto di vista strutturale. Difatti si tratta di una particolare cripta che un intervento urbanistico del secolo precedente ha reso sopraelevata rispetto al piano stradale, cambiando livelli e staticità dell’immobile. Inoltre vennero così scoperte le fondamenta della torre campanaria. Un successivo restauro in stile dell’arch. Cirilli , risalente agli inizi degli anni trenta, mutò l’aspetto dell’edificio inserendo un rivestimento neo-gotico.

Le innumerevoli vicissitudini ci portano negli anni successivi al 1970, quando la Cassa per il Mezzogiorno (settore Turismo) finanzia l’opera di restauro seguita dal noto Soprintendente  con 285.000.000 di Lire. L’apparato decorativo che lui descriverà come “solita risaputa impiallacciatura di gusto barocchetto” risaliva, come riportato nel suo testo, ai primi del XX secolo. A differenza di altri interventi, qui il Moretti elimina solamente questa fase, lasciando sulle volte della chiesa superiore la veste settecentesca, mentre nella cripta questa arbitraria rimozione dei gessi comporterà la vista totale dei mattoni, riportandoci la solita questione – è meglio lo strato di un vero novecento o quello di un dubbioso medioevo? -.

Alla luce della lunga serie di restauri, come Collemaggio a L’Aquila e Santa Maria Maggiore a Lanciano, possiamo dire che quello di San Giustino è tra i meno invasivi, trattando comunque una struttura che ha subito nel tempo numerosi rimaneggiamenti.