E’ implosa…
quando me l’hanno detto non volevo crederci! Eppure accorsi sul luogo del misfatto ci siamo resi conto della situazione tragicomica!
L’installazione costata una cifra superiore al milione di euro e realizzata dall’acclamatissima firma giapponese Toyo Ito, è collassata! A dire il vero non è chiaro come, di certo non è il gesto di un vandalo. Molto più probabile è l’ipotesi che le due resine che compongono la scultura abbiano manifestato un’incompatibilità prestazionale che si è resa clamorosa forse proprio a causa delle condizioni climatiche.
A dire il vero, ha un non so che di affascinante…quasi quasi direi che ci piace di più!
Chissà che con 2 punti di colla al posto delle imbracature il discutissimo bicchiere non metta tutti d’accordo!
Certo è che ciò che ne esce davvero incrinato è l’immagine dell’ Architetto…un professionista già così amato e stimato dall’opinione pubblica!!!
Se tanto mi da tanto…chissà che succederà dopo l’inaugurazione del Ponte del Mare…
(Foto di Angelo Bucci.)
immaginavo già un ingiallimento della materia trasparente..ma mai il collasso! ma non ci sono delle ricariche sostitutive? la “glade” ci ha già pensato da tempo..però per temperature polari!!
ahhaahha…si si vendono delle ricariche formato piazza!!!
http://www.youtube.com/watch?v=QXQaAsFRgdA
da “Il Centro” di oggi (che non ha pubblicato il mio comunicato stampa”. Andrea Iezzi.
MARTEDÌ, 17 FEBBRAIO 2009
Pagina 1 – Pescara
di Simona De Leonardis
Ore 14.25, il calice di Toyo Ito va in frantumi
Un botto, poi la struttura interna cede. I costruttori: «Forse uno choc termico»
Ci sono due testimoni «Abbiamo sentito un colpo fortissimo come una cannonata»
PESCARA. «Eravamo a venti metri, abbiamo sentito un colpo fortissimo, come una cannonata». Sono le 14,25 quando Giorgio Amplo Rella e sua moglie, Rita Di Nicola, assistono in piazza Salotto al monumento di Toyo Ito che si spacca. «Abbiamo chiamato tutti i soccorsi, ma non ci credevano, pensavano a uno scherzo». Invece era tutto vero. Due mesi e due giorni dopo l’inaugurazione in pompa magna del «calice di vino» in cristallo acrilico da un milione e 100mila euro, i venti metri cubi di arte contemporanea progettati da uno dei più importanti architetti del mondo hanno iniziato a sfaldarsi. «Choc termico», ipotizza l’architetto Roberto Munzi, presidente della Clax Italia di Pomezia che ha realizzato l’installazione. Adesso tutta da rifare.
LA SPACCATURA. Sono circa le 15 quando, al capezzale dello «Huge wine glass» inaugurato alla vigilia dell’arresto del sindaco Luciano D’Alfonso, si precipitano i vigili urbani coordinati dal comandante Ernesto Grippo e i vigili del fuoco. Sul posto anche i carabinieri, anche la polizia, con il questore Stefano Cecere che va a rendersi conto di persona.
Inequivocabile la scena: il parallelepipedo alto cinque metri e largo due si è aperto. In alto, sulla facciata che guarda verso il mare, una fessura di almeno tre centimetri continua ad aprirsi lentamente, e lascia tutti a bocca aperta. Ma non basta. La lesione, all’interno dell’opera, prosegue e taglia in verticale tre dei quattro blocchi che compongono la struttura da 24 tonnellate, di fatto la più grande applicazione al mondo in polimetilmetacrilato, il cristallo acrilico con cui la stessa Clax Italia ha già realizzato, tra le tante opere, l’acquario di Genova e la chiusura dell’aula dei mercati di Traiano, a Roma.
LA FIGURACCIA. Ma quella di piazza Salotto, in virtù delle sue 24 tonnellate, è un prototipo. Un prototipo che il giorno dell’inaugurazione, lo scorso 14 dicembre, aveva fatto parlare di «evento storico», di Pescara come «punto d’attrazione per l’arte a livello internazionale» e che invece, a 62 giorni di distanza, è causa di una inequivocabile figuraccia. È a questo che pensano i rappresentanti dell’amministrazione arrivati sul posto: a risolvere la questione prima che l’opera di uno degli architetti «più innovativi e influenti del mondo» (per la rivista Designboom) si sbricioli in mille pezzi, portandosi dietro l’immagine, già provata, di un’intera città. E con i Giochi del Mediterraneo alle porte.
LE TRANSENNE. Ecco allora le transenne, larghissime, disposte in maniera da proteggere la zona dall’eventuale crollo dell’intera opera. Ed ecco una prima imbracatura, per contenere e tenere stretti i quattro blocchi in attesa dei tecnici della ditta laziale. Ma anche questa operazione richiede un intervento straordinario: i vigili del fuoco, con il caposquadra Alberto Perini, chiedono tre fasce in tessuto pressato, da otto metri e mezzo ciascuna, di quelle utilizzate per proteggere i rimorchi dei camion. In Comune non ce l’hanno, si vanno a comprare. È una soluzione provvisoria, mentre da Pescara fanno arrivare allo stabilimento di Pomezia le foto della «ferita» e la richiesta immediata di intervento.
IL TIRA E MOLLA. Dalla Clax partono due ingegneri e due tecnici con cinghie e cavi in acciaio per la messa in sicurezza del «Calice». Nessun trasferimento della struttura, fa sapere da Pomezia il presidente Munzi contrariamente a quanto ipotizzato dall’ingegnere del Comune Michele Di Pasquale in piazza Salotto («va prelevata e portata via»). «Dobbiamo prima capire cosa è successo», ribadisce Munzi.
Prova a ipotizzarlo l’ingegner Aldo Giordano, comandante dei vigili del fuoco in pensione, al di là delle transenne insieme agli ex colleghi. «Il collasso potrebbe essere stato favorito dalle tante stratificazioni, la lesione va in verticale, è interna, e certamente ha contribuito l’escursione termica. Da escludere un’azione esterna. Perché anzi, la lesione sembrerebbe partita dal basso, dal secondo blocco, da lì ha spinto la massa, provocando questo macello. Impensabile», rimarca l’ingegnere, «tenere una cosa del genere o pensare di ripararla: va distrutta e basta».
UN INCIDENTE. Non ci pensa proprio la Clax Italia: «Prima di organizzare un trasporto eccezionale», afferma Munzi, «dobbiamo capire cosa è successo. Da una prima ipotesi si potrebbe pensare a un grosso choc termico pesantissimo: il metalcrilato quando inizia ad avere un primo problema continua a dilatarsi. L’esplosione è data dal distacco delle molecole. In questo caso, essendo una massa così grossa, si è spaccato in varie direzioni, non so che temperatura abbia fatto a Pescara. Si è trattato di una cosa imprevista e imprevedibile, un incidente di percorso su un elemento unico al mondo. Ci potrebbe essere un recupero, aspettiamo di capire, di sentire anche Toyo Ito. In ogni caso i pescaresi possono stare certi, avranno il loro monumento bello e duraturo, la soluzione si trova. Ma per i Giochi, a fine giugno, ce la potremmo fare solo se è possibile un intervento, se non si è sfaldato in tante parti».
Già questa mattina potrebbe arrivare il responso.
IL CALICE. «Una massa informe, senza più riflessi». Per ora, parole dei due testimoni, «è quel che resta del Calice, «il simbolo di libertà» che Toyo Ito aveva pensato per Pescara, scegliendo il cristallo acrilico per rendere meglio la fluidità del vino che si libera nel calice.
Ieri pomeriggio erano in tanti a fotografarlo, con macchinette e telefonini, mentre i coniugi Amplo Rella ripetevano ai vigili urbani: «Dopo quel colpo fortissimo la crepa continuava ad allargarsi, a fare rumore. Sopra era già spaccata, ma la lesione arrivava a metà e continuava, fino alla base. Abbiamo avuto paura che si spaccasse in mille pezzi, fortuna che poi ci hanno creduto».
Pagina 1 – Pescara
Il direttore Caripe: «Aspettiamo di valutare i danni»
D’Alfonso ricorda: i tecnici temevano solo il grande caldo
PESCARA. In casa D’Alfonso la notizia del cedimento del «calice» di Toyo Ito arriva attraverso un’amica di famiglia. A quell’ora in piazza Salotto una squadra dei vigili del fuoco aveva già transennato il monumento, i passanti immortalavano la scena con i cellulari. Il sindaco era a casa, «impossibilitato» a comunicare con i dirigenti e gli amministratori del Comune per via delle inchieste giudiziarie in corso. Dunque, nessuna direttiva da via Salita Zanni. Ma D’Alfonso non avrebbe nascosto il suo rammarico: «Il freddo, sarà stato il freddo di questi giorni a causare il cedimento della struttura».
D’Alfonso avrebbe fatto anche altre considerazioni: «L’opera di Toyo Ito è stata realizzata con un materiale assolutamente nuovo, mai utilizzato sino ad oggi per la costruzione di una struttura così imponente». E a questo proposito ha sottolineato che con i tecnici della fabbrica dalla quale è uscito il «calice» di Ito, la Clax Italia, erano state fatte alcune valutazioni circa i rischi della sua esposizione all’aperto. Ma in quella circostanza erano stati presi in considerazione soprattutto i rischi delle «alte temperature». I tecnici avevano infatti valutato che nell’arco di un decennio i raggi del sole avrebbe potuto causare uno «scolorimento» del monumento. E invece a mettere ko il nuovo simbolo di piazza Salotto è stato il grande freddo. «Se fosse accaduto fra otto mesi, anziché dopo otto settimane, sarebbe stato peggio» è l’altra considerazione di D’Alfonso. Come se la fase di rodaggio potesse in qualche modo giustificare l’accaduto.
Sbigottimento anche in Banca Caripe, che ha cofinanziato l’opera di Tyo Ito. Il direttore generale Dario Mancini attendeva ieri un segnale dal Comune dopo il “botto” di piazza Salotto: «Ci dispiace molto per quello che è successo, non conosciamo ancora l’entità dei danni, non sappiamo se l’opera potrà essere riparata o è ormai compromessa. Faremo i nostri passi dopo una valutazione più completa. Domani (oggi per chi legge) avremo certamente un contatto con il Comune. (s.o.)
Pagina 2 – Pescara
Tra rabbia e ironie, lo stupore dei cittadini
E c’è chi parla di segno del destino: «È il potere di D’Alfonso che si sgretola»
Giansante (La Radice) «E ora organizziamo una veglia funebre» Il farmacista Vizioli «Ma a me piaceva»
PESCARA. Si fermano tutti. Osservano, chiedono informazioni, cercano di capire cos’è successo, e se hanno un telefonino di ultima generazione a portata di mano scattano anche una foto-ricordo. Passando per piazza Salotto, nessuno vuole perdere il «bicchiere di vino» di Toyo Ito che da ieri pomeriggio è danneggiato, dopo appena due mesi di vita. Attorno all’opera d’arte c’è un via vai continuo, mentre i vigili del fuoco fanno il possibile per mettere in sicurezza il blocco trasparente costato un milione di euro. I commenti sono di ogni genere, tra lo stupore per l’incidente e la rabbia per la spesa sostenuta.
Ma c’è anche chi non vede l’ora di sbarazzarsi di questo enorme bicchiere, e chi associa il cedimento strutturale dell’opera d’arte all’uscita di scena del sindaco Luciano D’Alfonso. Tra i curiosi c’è il consigliere di circoscrizione Benedetto Gasbarro, «avvertito da alcuni cittadini increduli». «Quanto accaduto si commenta da solo», dice.
In piazza pure Mattia Giansante, dell’associazione «La Radice», che pensa addirittura di organizzare una «veglia funebre» per l’opera d’arte e vuole raccogliere attorno al maxi-bicchiere tutti i cittadini affranti. È veramente dispiaciuto, invece, Giuseppe Vizioli, uno degli estimatori dell’installazione: «Mi piaceva moltissimo, ho sempre pensato che fosse da valorizzare». Proprio lui è uno di quelli che si lascia andare a un parallelismo con la caduta dell’ex sindaco D’Alfonso: «Il bicchiere ha rappresentato l’apice della potenza dalfonsiana, e ora si sgretola». Sotto ai portici, si ferma a lungo una giovane coppia, senza parole davanti alle transenne che evitano di avvicinarsi troppo all’opera d’arte. I due guardano, guardano e poi lui, Augusto Berardinucci, dice: «Non capisco, cos’è successo? Sarà stato il freddo? Sì, sì», aggiunge, «l’avevo già vista prima, anche se non so ancora se mi piace o meno. Quanto costa? No, non sapevo della spesa sostenuta per realizzarla. Complimenti».
Sorride e se la ride Stefano De Ritis, che quasi quasi apprezza di più l’opera danneggiata rispetto a quella installata due mesi fa, forse per le venature che si sono create nel grande blocco trasparente. «Così è più bella, commenta, ha una sua originalità».
È dello stesso avviso Guido Paolucci: «C’è un certo movimento, all’interno. Non è che l’hanno fatto apposta? Sì, certo, avevo già visto il bicchiere e avevo subito pensato che questa è una struttura particolare, che crea uno strano effetto, guardandola dai vari lati».
Il giovane cantautore Amedeo Giuliano non gradisce più di tanto «questo tipo di opere d’arte. Ma sicuramente è un peccato che ora si sia rovinata, perché è come se i soldi spesi per la realizzazione ora andassero in fumo. Spero che si possa riparare, quindi».
Non riescono a staccare gli occhi dal bicchiere i coniugi Natalino e Elisa Di Donato. Proprio loro erano in piazza quando si è sentito «un botto, e non si capiva da dove arrivasse, poi si è compreso che proveniva da lì e ci siamo allontanati», dice il marito. «Avevamo paura che potesse accadere qualcosa, e dopo un po’ abbiamo visto arrivare i vigili». Anche loro storcono il naso e mostrano di non gradire molto l’intervento del giapponese: Toyo Ito, evidentemente, non è tra gli artisti preferiti della coppia, ma da ieri pensano che il bicchiere di vino sia «un po’ meglio di prima: chissà», dice lui, «sarà stato l’effetto freddo-caldo a creare una reazione».
Fernando Errichi si è già dato una giustificazione sull’accaduto: «Il materiale usato per realizzare la parte interna non ha sopportato, forse, il cambio di temperatura che c’è stato nelle ultime ore, col passaggio dal freddo intenso al sole. Forse è vero, allora, che questa doveva essere un’opera realizzata per spazi interni». «Sembra quasi che la parte di colore fucsia si sia dilatata», dice Gianluca Ulisse, della yogurteria situata sotto i portici. Anche lui era lì quando c’è stato il primo «botto forte». «All’inizio si vedevano solo alcune crepe, nel blocco trasparente. Poi ci sono stati altri scricchiolii, quattro o cinque, e le crepe sono aumentate. Io non potevo credere ai miei occhi, ero incredulo».
«Mi dispiace, mi dispiace, una cosa del genere non doveva accadere, anche perché la spesa sostenuta è stata consistente» dice stupita Stella Biondo. «A me piaceva, ho anche assistito alla cerimonia di inaugurazione e poteva essere un motivo di attrazione per la piazza». Anche lei accomuna l’incidente di ieri al fatto che D’Alfonso sia stato travolto dall’inchiesta della magistratura: «È crollato lui ed è crollata anche l’opera d’arte che lui ha voluto: è proprio un periodo no, questo». In bici arriva in piazza Gemma Andreini, che ha saputo la notizia attraverso Facebook. «Abbiamo sempre detto» commenta «che quest’opera non avrebbe portato lustro alla città: sarebbe stato meglio dare spazio agli artisti locali, per realizzare un intervento in grado di far volare in alto il nome dell’Abruzzo, e di certo ce n’è bisogno».
A tre giovani studenti del conservatorio, Chiara, Ivana e Martina, l’opera non piace e pensano che non sia stato opportuno investire tanto su un monumento «quando poi i nostri corsi cominciano con sei mesi di ritardo per mancanza di fondi». Poco importa, per i tre, se a pagare siano stati dei privati o il Comune: la spesa non andava fatta anche perché ci sono problemi da affrontare. «Non capiamo» dicono ancora «quale sia l’associazione tra Pescara e questo bicchiere di vino».
Critica anche Rosanna Capuzzi, che ha sempre pensato che la produzione artistica firmata da Toyo Ito fosse «un addobbo natalizio, qualcosa di provvisorio: non mi è mai piaciuta», dice, «abito a Pescara da 52 anni e mi aspettavo qualcosa di carino: adesso che si è rotta si può anche pensare di toglierla». Storce il naso pure il giovane Daniele Carota: «Non mi piaceva e non mi piace anche perché l’intervento è costato troppo e ci sono ben altri problemi da risolvere, al mondo. La gente muore di fame». Passa, indugia qualche momento, lancia degli improperi e va via borbottando un cittadino che si rivolge all’ex sindaco e dice: «Si vergognasse. Sarebbe bastato molto meno per realizzare un monumento per la piazza. Forse anche diecimila euro. Li dava a mio padre e ci pensava lui».
Flavia Buccilli
«E’ crollato il simbolo dello sperpero»
Le reazioni dei politici, il Pdl chiede un’indagine sulle spese sostenute
PESCARA. «Il crollo della fontana di Ito è il simbolo di un sogno infranto di un’amministrazione che è naufragata». Il commento del senatore del Pdl, Andrea Pastore, rilasciato a margine del consiglio comunale, rappresenta bene il sentimento comune di gran parte dei consiglieri riuniti ieri per esaminare il bilancio. La notizia del cedimento dell’opera di piazza Salotto è arrivata nell’aula consiliare come un ciclone e ha suscitato rabbia e sgomento all’interno di tutti gli schieramenti politici. Nel centrosinistra, sono stati in tanti a non voler rilasciare dichiarazioni, mentre dal centrodestra sono piovute critiche e accuse contro il sindaco, D’Alfonso e la giunta per la scelta di un’opera costosissima da oltre un milione di euro.
«Ciò che dispiace» ha osservato il neo presidente del consiglio regionale, Nazario Pagano «è quanto hanno dovuto pagare i cittadini, non in termini economici, ma con la loro salute. Il Comune e il cementificio Lafarge hanno firmato una convenzione che consente alla fabbrica di continuare la sua attività, in cambio di un contributo per l’opera». Secondo il capogruppo del Pdl, Luigi Albore Mascia, «è crollato il castello di cartapesta del sindaco, Luciano D’Alfonso». «Quella fontana, ostinatamente inaugurata dal sindaco il giorno prima del terremoto giudiziario che lo ha travolto» ha detto «è finita in mille pezzi. E’ il simbolo di una politica dei sogni che per sei anni ha illuso la città». Il capogruppo del Pdl ritiene sia urgente un’indagine interna. «Con quella scultura, durata 64 giorni» ha spiegato «sono andati in fumo un milione 100mila euro, fondi privati dei quali non abbiamo avuto traccia».
«Ancora una volta» ha affermato il consigliere regionale del Pdl, Nicoletta Verì «ci ritroviamo a raccogliere i cocci degli errori di un’amministrazione inadeguata a governare la città». «Ci sarebbe da piangere» ha sostenuto Marcello Antonelli (Pdl) «tra l’altro, l’opera è stata realizzata non come l’aveva pensata Toyo Ito».
Sul fronte della maggioranza, invece, il primo commento è arrivato dal vice sindaco, Camillo D’Angelo. «Abbiamo ricevuto assicurazioni da parte della ditta Clax Italia» ha annunciato durante il consiglio «di un impegno a ripristinare la scultura, perché la città non perda un’opera così importante. Ove non sia possibile riparare il danno, si procederà a realizzare nuovamente l’opera». «Ricordo» ha fatto notare l’assessore alla cultura, Paola Marchegiani «che la città ha avuto a costo zero quest’opera, grazie al positivo coinvolgimento di forze economiche che hanno sostenuto i costi di realizzazione, come Caripe, Lafarge e la stessa Clax Italia». «Dispiace» ha aggiunto l’assessore, Marco Alessandrini «che si perda un pezzo della bellezza cittadina». Infine, è arrivata una nota dell’associazione culturale Radice che invita i cittadini a recarsi oggi, alle 18, in piazza Salotto per «prendere visione dello scempio e dello sperpero di denaro pubblico». (a.ben.)
Quando Toyo Ito disse «È un simbolo di libertà»
PESCARA. «È stato un progetto difficile da realizzare tecnicamente: ho voluto creare l’immagine di un calice in cui il vino si libera e costruisce da sè l’immagine del calice. Voglio che voi amiate questa progetto come simbolo di libertà». Furono queste le parole pronunciate da Toyo Ito sul palco allestito in piazza Salotto, il 14 dicembre: il giorno in cui la festa inaugurale salutò la conclusione di un lungo percorso di collaborazione tra l’artista, considerato uno degli architetti più importanti del mondo, e l’amministrazione di Pescara. Non poteva immaginare che il suo sogno di libertà sarebbe presto andato in frantumi.
Nato in Giappone nel 1941, Toyo Ito è particolarmente apprezzato per la creazione e l’elaborazione di concetti architettonici estremi. È titolare di una cattedra all’Università delle donne di Tokyo, professore emerito alla University of North London e visiting professor alla Columbia University.
In prima pagina:
“Il Centro”
MARTEDÌ, 17 FEBBRAIO 2009
Pescara, va in frantumi il «calice» inaugurato due mesi fa
Si spacca la fontana di D’Alfonso
Cede l’opera di Toyo Ito in piazza Salotto, il Pdl chiede un’inchiesta
PESCARA. Un botto fortissimo e il calice di Toyo Ito va in frantumi. E’ accaduto nel primo pomeriggio di ieri, quando il nuovo simbolo di piazza Salotto, inaugurato appena due mesi fa, ha ceduto improvvisamente. Il monumento in cristallo acrilico disegnato dall’artista giapponese di fama internazionale, costato un milione e 100mila euro, alto cinque metri e largo due, ha iniziato a sfaldarsi sotto gli occhi dei passanti. All’incredulità, lo sbigottimento, sono seguite le critiche. L’opera era stata inaugurata il 14 dicembre scorso dal sindaco D’Alfonso.
(In Pescara)
da “Il Messaggero” edizione Abruzzo di oggi 17 febbraio 2009
Solo due mesi: tanto ha resistito il Wineglass di Toyo Ito. Luciano D’Alfonso l’aveva inaugurato il 14 dicembre scorso perchè diventasse un elemento-simbolo della città. Ventiquattr’ore dopo il sindaco era ai domiciliari lasciando una città sotto shock. Come ha sottolineato Paola Marchegiani, assessore alla cultura, «la fontana è diventata il simbolo di una città ferita, è bella anche così ma trasmette dolore». Non il simbolo della città, dunque, ma metafora di un’amministrazione comunale di centrosinistra ambiziosa e decaduta. Un dolore anche per D’Alfonso, che lavora, studia, lotta per la sua piena riabilitazione: sarà un po’ così anche per il Wineglass di Toyo Ito. Informato dell’accaduto, il sindaco – benchè rammaricato – non ha dubbi che l’incidente servirà alla Clax per acquisire esperienza, e che la fontana, tutto il calice rosso fuoco, tornerà a splendere come e più forte di prima. E magari sarà ancora più vera come metafora.
di PAOLO VERCESI
La notizia del danno al Wineglass ha attraversato d’un lampo mezzo mondo per arrivare via email al quartier generale dell’architetto Toyo Ito; ed ha anche attraversato gli appennini per rimbalzare alla Clax Italia di Pomezia, l’azienda che ha realizzato l’opera e che non è rimasta a guardare: subito è stata fatta partire per Pescara una squadra tecnica per verificare l’entità del danno e per capirne l’origine. L’ipotesi più accreditata sulle cause è quella del gelo, dello sbalzo di temperatura che ha fatto collassare il plexiglass, le resine, l’intera struttura.
Il primo commento del presidente della Clax, Roberto Munzi, è di piena sintonia col sentimento dei pescaresi: «Provo un grande dispiacere». Poi ha parlato da imprenditore illuminato: «La nostra è un’azienda seria e faremo del tutto per risistemare il Wineglass: a costo di rifarlo a nostre spese, se occorre». Occorrerà, viste le condizioni del calice, attraversato per tutto il corpo da una profonda ferita rosso sangue.Il calice non aveva copertura assicurativa, «abbiamo però una nostra assicurazione per i nostri lavori» ha precisato il presidente della Clax, Munzi. Potrebbe tornare utile considerato che realizzare il Wineglass è costato più di un milione di euro. «La città di Pescara non perde niente, la rifaremo» ha promesso il massimo dirigente della società, anche se ci vorrà un po’ di tempo, qualche mese. Ora, per cominciare, si tratta di capire bene cos’è successo: perchè in teoria «il materiale e le sostanze all’interno del Wineglass non avrebbero dovuto ghiacciarsi. E’ il rischio che si corre quando si realizzano opere uniche e innovative ed il Wineglass lo è». Rassicurazioni che Munzi ha fatto pervenire anche al vicesindaco Camillo D’Angelo, ieri in piazza Salotto per sincerarsi della gravità della situazione.
Ferito e addolorato s’è detto anche l’architetto Alberto Clementi, preside della facoltà di Architetura che per primo suggerì al sindaco D’Alfonso la firma prestigiosa di Toyo Ito. «Non entro nel merito della realizzazione tecnica dell’opera, aspetto nel quale non sono entrato, tuttavia non posso non comprendere le enormi difficoltà che un’azienda incontra quando si tratta di dare concretezza a un’idea. L’Architettura internazionale si sta lanciando in una ricerca coraggiosa su tecnologia e materiali, si pensi all’Opera Bastille di Parigi, che costringono le aziende realizzatrici ad investire nella ricerca – seguita il professrio Clementi -. Ciò detto, il rischio di errori e problemi c’è sempre trattandosi di sperimentazione, come pure è di prassi che le stesse aziende intervengano per correggere, risolvere, rifare. Sono sicuro che alla Clax seguiranno questa linea e che il Wineglass rappresenti perciò un bel banco di prova per un uso più consapevole di nuove tecnologie».
ma non si incazzano le testate giornalistiche?
Comunque Pescara non finisce mai di stupirci, una tragedia teatrale da “caduta dei giganti”.
E’ un opera manierista!
speriamo sia ancora in “garanzia”!!!
L’araba fenice risorgera! lo vogliate o no.
Ma cosa succede? Il freddo colpisce Toyo Ito e i petardi Koolhaas…
http://www.qbn.com/topics/582132/
http://www.oma.eu/index.php?option=com_projects&view=portal&id=388&Itemid=10
Ecco le dichiarazioni di Vittorio Sgarbi di oggi sul “Centro”. Sgarbi si è ricordato di noi e della visita notturna alle demolizioni assurde alla Stazione di Portanuova.
GIOVEDÌ, 19 FEBBRAIO 2009
Pagina 1 – Prima Pagina
«Il calice di Toyo Ito? Buttatelo via»
Pescara, Sgarbi boccia la fontana: «Meglio un’opera di Cascella»
PESCARA. «Il Calice di Toyo Ito? Buttatelo via e buonanotte. Quella non è un’opera d’arte: è l’idea di un architetto bravo e alla moda, ma è inutile fare una cosa uguale perché si rompa di nuovo. Meglio piuttosto chiedere in dono una scultura in pietra alla vedova di Pietro Cascella e usare i soldi degli sponsor per pagare il trasporto». È caustico come al solito Vittorio Sgarbi, critico d’arte e sindaco di Salemi, che nei giorni della bufera giudiziaria prese tra i primi le parti di Luciano D’Alfonso, ma ora boccia le sue scelte artistiche. Intanto, a Pescara è arrivato un collaboratori di Toyo Ito per un primo esame della fontana.
(In Pescara)
Pagina 1 – Pescara
Sgarbi boccia il Calice: «Non è un’opera d’arte»
Il critico: solo l’idea di un architetto alla moda, non riparatelo, meglio Cascella
Da Barcellona arriva l’inviato di Toyo Ito «Per capire le cause, servono le analisi Ma non avremmo mai immaginato questo»
MARIA ROSA TOMASELLO
PESCARA. «Il Calice di Toyo Ito? Buttatelo via e buonanotte. Quella non è un’opera d’arte: è l’idea di un architetto bravo e alla moda, ma è inutile fare una cosa uguale perché si rompa di nuovo. Meglio piuttosto chiedere in dono una scultura in pietra alla vedova di Pietro Cascella e usare i soldi degli sponsor per pagare il trasporto». È caustico come al solito Vittorio Sgarbi, critico d’arte e sindaco di Salemi: nei giorni della bufera giudiziaria prese tra i primi le parti di Luciano D’Alfonso, ma ora boccia le sue scelte artistiche.
Per Sgarbi, la faccenda è chiara: «L’inadeguatezza dell’opera in quel luogo è provata dal fatto che si è rotta, rifarla non ha senso» dice nel giorno in cui dallo studio di Toyo Ito a Barcellona arriva a Pescara l’architetto Makoto Fukuda, spedito in tutta fretta in Abruzzo per esaminare l’opera danneggiata, blindata da un’armatura metallica sotto la neve che copre in un’atmosfera irreale piazza Salotto, e fare un dettagliato rapporto allo staff dell’architetto giapponese a Tokio.
Riparare lo Huge Wine Glass, secondo l’ex sottosegretario ai Beni Culturali, sarebbe il peccato più grave: via, invece, il fragile oggetto giapponese, che non resiste ai primi freddi, avanti con la solida tradizione abruzzese, come indica ironicamente la mano che ha lasciato sulla scultura un disegno emblematico: il bicchiere rotto e capovolto che si trasforma in fiasco di vino. Magari, Montepulciano.
«Pescara non è Los Angeles. Il limite del sindaco, che io conosco, è stato il provincialismo. La cosa più bella della regione è Santo Stefano di Sessanio, quello è l’Abruzzo. E allora non chiami il giapponese, chiami un artista italiano e gli chiedi un’opera in pietra». Così come fu un errore l’idea della pensilina dell’architetto Arata Isozaki davanti alla Galleria degli Uffizi a Firenze, a cui Sgarbi, allora al governo, si oppose fieramente, così il progetto di una installazione in cristallo acrilico nella città di D’Annunzio per Sgarbi è sbagliato: «Io ho difeso il sindaco quando non lo aveva fatto Walter Veltroni, perché ho ritenuto le accuse della magistratura grottesche, anche se lui ha fatto male a darsi malato. Certo, se uno volesse essere cattivo, potrebbe dire che le responsabilità penali del sindaco sono anche in una impresa come questa: può dire di non avere speso nulla, che l’opera è stata pagata da sponsor, ma il suo errore è stato nel non avere difeso la città dall’intrusione di elementi alla moda come questo: non è che, siccome ti regalano una cosa, la metti per forza. Trovo questa, come altre iniziative del sindaco, molto discutibili». Sgarbi parla della «speculazione» fatta intorno alla vecchia stazione: «È la devastazione della città in nome di un modernismo assurdo» sostiene. Stroncata l’idea dell’amministrazione D’Alfonso di fare di Pescara una città proiettata al contemporaneo attraverso insediamenti di artisti internazionali: «È provincialismo, perché Pescara è una città in cui il povero architetto Anita Boccuccia di Italia Nostra ha visto buttare giù un villino in viale Primo Vere senza poter fiatare. Non è che non devi avere care le cose moderne, ma vanno fatte senza seguire le mode, tentando di dare un’armonia. Perché guardiamo con ammirazione all’architettura fascista di Pescara? Non certo per favore verso il regime, ma perché era solida e consistente. Io esorterei il prossimo sindaco ad assumere un atteggiamento di maggiore armonia verso le cose». Ecco perché, spiega, Pescara ha bisogno di un’opera che rappresenti la continuità con la tradizione: «Io trovo tutta questa cosa imbarazzante. E quindi, perché non approfittare del destino che l’ha rotta, per esempio per ottenere in dono dalla vedova di Pietro Cascella una scultura di questo illustre sculture di Pescara? Se una cosa è carina e pagata da privati, allora che se la faccia il privato in un bar. Un errore di gusto è un errore civile. E il pubblico, se offre uno spazio, cede uno spazio che è di tutti».
Ma l’amministrazione, per il momento, è intenzionata ad andare avanti per ottenere la restituzione dello Huge Wine Glass, integro e possibilmente senza più difetti. Ieri pomeriggio, accompagnato dai tecnici del Comune, l’architetto Makoto Fukuda ha fatto un sopralluogo nella piazza imbiancata: ha scattato una serie di fotografie a distanza ravvicinata e girato un video che percorre tutta la lunghezza della crepa, inviati poco dopo via e-mail alla Toyo Ito & Associated Architects di Tokyo dall’ufficio dell’ingegner Luciano Di Biase, direttore dell’area Lavori pubblici, presenti il dirigente Pierpaolo Pescara e lo staff.
«Adesso analizzeremo innanzitutto le immagini per capire che cosa è accaduto, ho misurato la spaccatura, è di 12-13 millimetri» ha spiegato. «Non so quando arriverà l’architetto, ma Ryu Mitarai (il braccio destro di Ito, ndr) vuole venire quando avremo una soluzione. È possibile che per capire ci serva un pezzo della struttura da esaminare. In questo momento non si può dire altro». Di certo c’è che l’implosione dello Huge Wine Glass non era stata inserita tra le opzioni. Fukuda lo dice chiaramente: «Quando è stata realizzata, avevano immaginato che potessero esserci dei problemi: per esempio dilatazione, problemi di struttura, o punti di difficoltà. Abbiamo calcolato. Ma che sia chiaro: non avremmo potuto immaginare questo, ci eravamo preparati ad altro. Adesso per conoscere le cause bisognerà aspettare le analisi, ditelo ai cittadini. All’inizio, quando l’abbiamo saputo, abbiamo provato pena. Ma è una cosa importante per Pescara e quindi bisogna rifarlo». L’opera, secondo quanto richiesto da Fukuda, resterà al suo posto ancora per alcuni giorni, in attesa dei primi responsi, poi sarà trasportata a Pomezia, nello stabilimento della Clax Italia, che l’ha realizzata.
In fondo mi aspettavo una dichiarazione diversa da Sgarbi, come non mi aspettavo il suo silenzio…un dono di cui non conosce il valore…ma in fondo ne hanno parlato tutti (io per primo), xkè nn avrebbe potuto lui!
Sarebbe interessante, però, se qualcuno fosse capace di darmi una definizione di ciò che è arte e di ciò che non lo è…
magari è arte ciò che viene percepito tale dalle persone cui è rivolta l’opera, che interpreta un sentire comune, o magari è arte qualsiasi sciocchezza si venda x tale, o magari ancora è arte solo quella che le accademie riconoscono come tale…
Vero è che questa regione non è solo pietra della maiella, o i suoi degni e illustri nomi quali Cascella, Michetti, o un interessante intervento di recupero di un borgo montano; forse questa regione è anche quello che vuole essere e che aspira a diventare (con tutto il suo provincialismo)!
Il fatto però che Sgarbi parli delle demolizioni avvenute in questi ultimi anni a Pescara è molto positivo.
E che rompa un muro di silenzio su questo, dalle colonne del “Centro”, è importantissimo.
Il riferimento implicito è alla battaglia legale condotta dall’architetto Anita Boccuccia.
L’ultima udienza del processo si terrà il prossimo martedì 24 febbraio 2009, alle 13, 30 al Tribunale Penale di Pescara.
E’ importante esserci tutti.
Contro gli abusi edilizi, per la tutela delle aree vincolate e degli edifici storici.
Andrea Iezzi
«È provincialismo, perché Pescara è una città in cui il povero architetto Anita Boccuccia di Italia Nostra ha visto buttare giù un villino in viale Primo Vere senza poter fiatare. Non è che non devi avere care le cose moderne, ma vanno fatte senza seguire le mode, tentando di dare un’armonia. Perché guardiamo con ammirazione all’architettura fascista di Pescara? Non certo per favore verso il regime, ma perché era solida e consistente. Io esorterei il prossimo sindaco ad assumere un atteggiamento di maggiore armonia verso le cose»
Trovo interessante quello che ha detto Sgarbi in certe parti, non sulla solidità e la consistenza come simbolo dell’Abruzzo (o come il riproporre sempre e solo Cascella) o ancora valutare S.Stefano di Sessanio il migliore e il modello da seguire. Sta diventando secondo il mio punto di vista un modello di fanatismo un pò hollywoodiano..ma con questa mia opinione non vorrei bocciare in tutta la sua totalità il progetto di Sextantio nella riproposizione delle tipologie e lo stile architettonico. Riconosco un’importante risorsa economica e culturale.
Ok per il contro allo stravolgimento dell’area della stazione (si riferisce però a porta nuova? non capisco bene) e alle battaglie fatte per le residenze storiche della Pineta Dannunziana, tanto adorata da tutti ma con il pensiero e l’indifferenza deturpata prima idealmente e poi materialmente con ruspe, pettini sul mare, ripascimenti con sabbie catramate, distruzioni incontrollate e ricostruzioni di grattacieli e hotel degni del gioco da tavola “hotel” (c’è il Waikiki, il Safari,stanno costruendo il Fujyiama…) mi auguro solo che le parole giuste non rimangano al vento solo per portare più notorietà all’oratore in questione. Non siamo in un programma della Panicucci..
Il riferimento di Sgarbi è all’accordo di programma della società Portanuova 2000 di De Cecco…per ciò che riguarda la Pineta direi che sono pochi quelli la amano.
Le Amministrazioni D’Alfonso non hanno mai inteso rinforzare i vincoli, o fare un progetto di restauro e di valorizzazione.
In questi anni ci sono state pressioni per:
1) far passare silenziosamente progetti di demolizione e ricostruzione di palazzine, anche con il placet del TAR di Pescara, sempre favorevole al “moderno” e al progressismo palazzinaro;
2) accreditare l’idea, in sede teorica (libri, articoli, eventi) che Pescara non sia stata progettata come “città-giardino”; facendo apparire priva di senso la conservazione delle vestigia di quel “tipo” di Città, alla luce della sua miseria, in confronto ai modelli europei.
Speriamo che, con l’aiuto delle Associazioni ambientaliste che operano in Abruzzo, riusciremo ad orientare in un segno diverso le scelte, nel segno della sostenibilità e della valorizzazione intelligente del nostro passato (ricordate che “il futuro ha un cuore antico”?)
Andrea Iezzi
Ecco che dice la vedova Cascella a proposito dell’idea di mettere una statua del marito. Forse Sgarbi aveva presente quel progetto.
da “Il Centro”
VENERDÌ, 20 FEBBRAIO 2009
Pagina 15 – Cronaca
«È stato un errore, lasciatelo lì come monito»
La vedova Cascella: adesso spero si faccia la Porta di Pietro
PESCARA. «Mio marito aveva fatto un progetto per la sistemazione di piazza Salotto, con sculture e marmi, che stava sotto il milione di euro, poi l’amministrazione legittimamente ha scelto in modo diverso. Ma l’errore è stato affidare a un architetto una “scultura”: gli architetti lavorano al computer, gli scultori lavorano con la materia, e questa è una differenza fondamentale». Parla così Cordelia von den Steinen, vedova di Pietro Cascella, evocata da Vittorio Sgarbi nel suo j’accuse contro l’opera di Toyo Ito.
«Buttate il Calice e metteteci un’opera di Pietro Cascella» ha tuonato il critico d’arte più celebre dei salotti televisivi. Oggi Cordelia von den Steinen dice: «Lasciatelo com’è, come monito per questo mondo che crede nella plastica. Una cosa così l’avrei vista bene dentro una banca, un aeroporto». Ma rifugge le polemiche: si augura solo che sia portato a compimento il progetto della Porta del Mediterraneo, ultimo lascito artistico del marito a Pescara, un progetto di cui aveva già cominciato a parlare con il sindaco Luciano D’Alfonso, poi bloccato dalla tempesta giudiziaria. «Doveva essere fatta in questi giorni, ma io non dispero affatto che venga realizzata sul bozzetto lasciato da mio marito: dovrebbe sorgere sul corso, tra la piazza e la stazione, per collegare idealmente i punti dal mare alla collina». Di costi non si era ancora parlato: «Ma certo certo meno del “bicchiere” di plastica» sottolinea. Niente polemiche, perché quello che è avvenuto, dice «è una cosa dolorosa per la città, perché si sono spesi soldi, speranze, c’era l’idea di fare una cosa inedita ed essere moderni, e la modernità ama l’esperimento». Per Cordelia von den Steinen, però, deve essere chiaro che «la scultura non è un esperimento». «Se uno va alle mostre, alle fiere d’arte, vede tante installazioni che però sono destinate ai musei: sono giochi intellettuali rispetto ai quali si può discutere, parlare. Altro» dice, «è la scultura in uno spazio pubblico, che ha una funzione precisa di radunare persone per cui diventi oggetto d’affetto: infatti la Nave ha raggiunto lo scopo di diventare un luogo di identificazione». Per la vedova Cascella, discutibile è anche l’uso del materiale: «Quello che avrei chiesto all’architetto è perché usare un materiale sintetico: non siamo più nel momento dell’euforia verso la plastica, come negli anni Sessanta, ma è un momento in cui la plastica è considerato un fattore critico: la pietra, invece, è una materia che il tempo continua e lavora».
ARTE O NON ARTE?
Da “Primadanoi” di oggi 20-02-2009 con il disegno originale di Toyo Ito… Esteticamente anche peggio di quello che la Clax ha realizzato…
Ecco il progetto originale di Toyo Ito: calice con liquido in movimento
L’OPERA D’ARTE IN FRANTUMI.
PESCARA. Per la prima volta ecco i disegni originali del progetto dell’architetto giapponese Toyo Ito. Sono questi i disegni che hanno accompagnato il progetto e che raffigurano l’idea originale del Huge Wine Glass. Il risultato finale, però, oltre che essere finito indecorosamente, risulta di gran lunga difforme.
I disegni parlano chiaro.
La prima differenza sta nelle dimensioni. L’opera doveva essere più mastodontica, imponente: sei metri di altezza per tre di larghezza e profondità.
Quella che abbiamo visto a piazza Salotto invece era 5 metri per due. Una modifica in corso d’opera che la ditta esecutrice, la Clax Italia, dice di aver concordato con il Comune di Pescara per una serie di ragioni. Che vi siano state difficoltà di realizzazione non è un mistero. Secondo alcune versioni il peso sarebbe stato eccessivo e questo avrebbe comportato sia difficoltà nell’assemblaggio che nel trasporto e nella resistenza. Si sarebbe pensato così di ridurre le dimensioni.
Ma c’è dell’altro che emerge dal progetto.
Come si può notare il calice doveva avere funzioni ben precise ed un impatto visivo ben differente.
Sotto la base interrata doveva lavorare una pompa che doveva servire a mettere in circolo il liquido rossastro creando delle bolle e la sensazione del movimento come fosse un vero e proprio calice gigantesco di vino. Probabilmente anche questo “marchingegno” aveva conferito all’opera il ruolo di fontana che, pare ovvio, oggi di fontana non ha niente.
Doveva essere un’ opera d’arte che avrebbe stimolato i riflessi del liquido, avrebbe incuriosito e reso “dinamica” l’opera.
Anche questa parte è sparita del tutto trasformando il parallelepipedo in un blocco di plexiglass unico di due colori. Nessun movimento, nessun riflesso cangiante del liquido, nessuna bollicina che sale, nemmeno una goccia d’acqua se non quella della vasca sottostante.
Un risultato finale diverso dunque dal progetto originale ideato dall’artista e che pare egli stesso abbia avallato in seguito.
Eppure non si conoscevano questi particolari. Ma il problema potrebbe essere un altro.
E’ su questi disegni e su questo progetto che le ditte sarebbero state chiamate a fornire i loro preventivi. Stando a quanto riportato nella delibera solo una ditta avrebbe risposto fornendo, su quei disegni, un preventivo di 1 milione e 650 mila euro.
La Clax dunque aveva stimato in quel prezzo la realizzazione dell’opera originaria.
Su quel progetto le altre ditte probabilmente vista la complessità hanno deciso di non inviare il preventivo.
Ma poi le cose sono cambiate. La pompa ed il liquido sono spariti e il calice si è ridotto.
Riducendosi viene da pensare che si sia ridotto il costo e dunque il prezzo.
Eppure sempre sulla delibera di giunta si parla di un contributo di 650mila euro della Clax Italia.
Come è stato calcolato tale contributo?
Mistero nel mistero che ora dovrà essere sviscerato dalla nuova inchiesta affidata al pm Paolo Pompa e alla Squadra mobile che ieri ha sequestrato le carte del Comune.
Mistero anche sulla nuova figura spuntata dal nulla: quella di un misterioso consulente e di una società che avrebbe curato i rapporti per conto del Comune con le ditte che si presume siano state contattate.
a.b. 20/02/2009 15.52
Il sito è http://www.primadanoi.it
L’autore Alessandro Biancardi
si su PrimadaNoi ci sono i disegni del progetto originale…quello appunto che aveva a che fare con una “fontana”, lo stesso che Ito presentò in sala consigliare l’anno scorso.
da “PrimaDaNoi” del 20-02-2009
Commento all’articolo di Alessandro Biancardi sopra riportato
Inviato: 20/2/2009 20:08
Commentatore Neofita
Iscritto: 9/11/2008
Da:
Inviati: 7
ANCHE IL PROGETTO ORIGINALE NON AVREBBE MAI POTUTO FUNZIONARE…
ASSURDO! ANCHE IL PROGETTO ORIGINARIO ERA UNA BARZELLETTA: HANNO FATTO FARE PREVENTIVI PER UN SISTEMA CHE VA CONTRO LE PIU’ ELEMENTARI LEGGI DELLA FISICA
Infatti una cavità stagna all’interno di un monolite riempita per tre quarti di un liquido, se al suo interno viene immessa aria attraverso un compressore, dopo le prime bollicine, l’aria della parte superiore comincerebbe a comprimersi, non avendo evidentemente sfogo verso l’esterno. Nel disegno infatti, pur esssendo schematizzato, Toyo Ito non si è risparmiato nel descriverla:vengono definiti chiaramente materiali forme, dimensioni, peso e macchinari. Descrivendolo come un meccanismo semplice e chiaro ma tralasciando un elemento fondamentale. Toyo Ito ha pensato bene di illustrare bene la cavità, il liquido e perfino sotto terra il sistema di pompe e compressori ma non ha fatto alcun riferimento a come espellere l’aria…. Ipotizzando anche che man mano che entra l’aria attraverso bolle il liquido presente per fare spazio rientra nel serbatoio. Pensiamo ad es che aggiungendo aria il liquido scenda ad un determinato livello prestabilito, a questo punto per continuare il processo ciclicamente si dovrebbe fermare il compressore, smettere di immettere aria e ripompare il liquido all’interno, ma qualsiasi liquido immesso essendo più pesante dell’aria incomincerebbe a riempire la cavità ovviamente dal basso, imprigionando pertanto l’aria nella parte superiore. Per questo dopo un po’ a seconda della potenza della pompa il liquido non riuscirebbe più a rientrare nella cavità a causa di nuovo della pressione generatasi all’interno… insomma non serve essere fisici o ingegneri per capire che il meccanismo va contro le più elementari regole della fisica.
http://www.primadanoi.it/modules/bdnews/article.php?storyid=19327
Non si placa la discussione sul “Centro”.
Dopo Umberto Dante, Cesare Manzo, è il turno di Marco Volpe…
DOMENICA, 22 FEBBRAIO 2009
Pagina 1 – Pescara
Gli architetti polemizzano con Sgarbi: «Bello anche rotto». Infuria lo scontro politico
Il calice di Toyo Ito nascosto nell’imballaggio
Un’armatura in ferro e dei pannelli ricoprono lo «Huge Wine Glass» di piazza Salotto
SAVERIO OCCHIUTO
PESCARA. Il calice di cristallo non c’è più, avvolto in un’armatura d’acciaio, come un fiero samurai. Ieri lo “Huge Wine Glass” di piazza Salotto si è mostrato così, nascosto da grandi pannelli bianchi, ferito e umiliato dalle polemiche, più che dalla spada, come un antico guerriero. Il parallelepipedo uscito dalla matita del giapponese Toyo Ito è riapparso dentro l’impalcatura che due mesi fa lo aveva portato a Pescara. Torna in fabbrica, lo stabilimento di Pomezia della Clax Italia, per capire cosa è accaduto.
Il calice si è rotto, nessuno sa ancora perché, ma tutti sembrano avere una verità. E in piena campagna elettorale il nuovo simbolo di piazza Salotto, inaugurato dal sindaco Luciano D’Alfonso il giorno precedente il suo arresto, è ormai il terreno di scontro privilegiato dalle opposizioni. Domani si riunirà la commissione di vigilanza del Comune per interrogarsi sul cedimento della scultura di Toyo Ito. L’indagine in corso da parte della magistratura frena tra l’altro gli amministratori: nessuno sa ancora se e quando il calice di piazza Salotto potrà essere rimosso da lì.
Il capogruppo del Pdl, Luigi Albore Mascia, annuncia battaglia affinchè si faccia «chiarezza sul grave cedimento della scultura, costata alla città 1milione 100mila euro e andata in frantumi dopo appena 64 giorni dalla sua installazione in piazza Salotto. Soprattutto domani», incalza Mascia «cercheremo di leggere quelle carte che finora la giunta non ha voluto rendere pubbliche: vogliamo verificare quali tipi di rapporti siano intercorsi tra il Comune, il maestro Toyo Ito, ideatore dell’opera, l’azienda che l’ha concretamente realizzata e i presunti mecenati privati che l’avrebbero finanziata. E soprattutto chiederemo di vedere, ancora una volta, le fatture relative ai pagamenti effettuati». Pronta le replica del vice sindaco Camillo D’Angelo: «Oltre a ribadire che abbiamo ricevuto assicurazioni da parte della Clax Italia circa un impegno della ditta anche a realizzare nuovamente lo Huge Wine Glass se non sarà possibile ripristinarne lo stato, perché la città non perda un’opera così importante, mi preme fare una precisazione. Le affermazioni del consigliere Luigi Albore Mascia rivelano un atteggiamento polemico e non costruttivo, a cui ci ha abituato nel corso degli anni. Un atteggiamento tipico di chi non ha argomenti da offrire. Mascia si rivolge a D’Alfonso come se fosse stato lui personalmente a realizzare l’opera e non ha perso un attimo per lanciare strali e accuse senza neanche informarsi sulle possibili cause del cedimento. Una posizione che non fa certo onore a chi si propone come guida della nostra città».
Ma il dibattito si muove anche fuori dal terreno politico. Marco Volpe, presidente dell’Ordine degli Architetti di Pescara, non condivide l’analisi del critico d’arte Vittorio Sgarbi, che dalle pagine del Centro aveva accusato di eccessivo «provincialismo» il sindaco D’Alfonso quando aveva pensato di affidare a Toyo Ito l’opera simbolo di piazza Salotto, dimenticando che l’Abruzzo è la terra dei Cascella. «La prima precisazione necessaria», dice Volpe, «è che Toyo Ito non è un artista ma un architetto di fama internazionale che ha realizzato opere in tutto il mondo. Quindi questo oggetto non è una scultura, ma un monumento. Lui stesso, concludendo il suo intervento a Pescara il giorno della inaugurazione disse che gli sarebbe piaciuto che ogni persona, guardando quell’opera, pensasse alla libertà, al contenuto senza contenitore». Dunque, per il presidente dell’Ordine degli Architetti, il calice di piazza Salotto «non essendo una scultura, come ha detto Sgarbi, non può essera accostato a Cascella, non è un’opera d’arte, ma un segno su una piazza moderna. Tra l’altro, sono convinto che la città aveva già iniziato a digerirla, a metabolizzarla, dopo averla vista come un Ufo calato sulla città. L’incidente è un’altra cosa». Cosa fare a questo punto? Volpe ha un suggerimento: «Io la lascerei così com’è, dopo averla messa in sicurezza, anche come segno di una grande metafora del tempo che ci avviamo a vivere. Questa spaccatura che si è creata aumenta gli effetti della rifrazione e riflessione della luce che ne hanno ispirato la sua realizzazione».
L’architetto Tommaso Di Biase, ex assessore all’Urbanistica nella giunta D’Alfonso, condivide: «A suo tempo, quando fu progettata la nuova piazza, mi posi il problema del ruolo del monumento all’interno della città contemporanea, e dissi in un intervento che opere come questa servono a fermare la corsa della vita, il fluire veloce. Servono a fermarsi e a riflettere nelle società contemporanea dove gli unici punti di aggregazione sono ormai solo i centri commerciali. Cascella, per venire alle riflessioni di Sgarbi, è presente nella nostra città, non è stato dimenticato. Toyo Ito è una star internazionale di questo tempo non è un pinco pallino e la sua interpretazione è una delle più avanzate. A Pescara è stata ricostruita una sorta di piazza italiana che non è una invenzione di questa Amministrazione. E poi Santo Stefano di Sessanio e Pescara (l’altra polemica sollevata da Sgarbi ndr) non sono alternative tra di loro, non c’è nessuna alternativa tra la storia e l’attualità, tra la pietra della Maiella e l’opera di Toyo Ito».
Citato ma non inserito, riporto un articolo di qualche giorno fà:
In risposta alle dichiarazioni del critico d’arte Sgarbi sulla fontana spaccata, ieri è arrivata una nota del professor Umberto Dante (foto) . «E, invece, Pescara è Los Angeles», ha scritto Dante. «Credo che l’intervento di Vittorio Sgarbi sulla situazione artistica e culturale di Pescara sia un’occasione che l’Abruzzo non deve perdere per una riflessione alta e di prospettiva sulla sua identità, sulla sua storia, su ciò che deve essere il suo futuro». «Certo, capisco l’irritazione di molti amici, dinanzi a una visione esterna e, nella sostanza, ferma alla voce Abruzzo dell’Enciclopedia Italiana. E sento anche io il pericolo che dietro certe argomentazioni si nasconda l’idea che la nostra regione debba restare all’infinito in serie B o C, che ogni sua uscita dagli stereotipi e dalla marginalità rischi di venire bollata come una volgarissima operazione da “provinciali”. Tuttavia, l’Abruzzo deve prendere atto che esiste e che va combattuta un’immagine “romana” e “nazionale” della sua realtà. Immagine non adeguata, assolutamente anacronistica, ma che arriva anche a un intellettuale intelligente come Sgarbi , che finisce per intervenire su parametri e contesti favolistici, sostanzialmente inesistenti, suppongo disinformati. Per lui l’Abruzzo è Santo Stefano di Sessanio, la pietra, gli scempi della ruspa. Ricordo le parole del maggiore medievista abruzzese, Alessandro Clementi , a proposito dell’edilizia del Gran Sasso: «Ad ascoltarle bene queste pietre belano». Santo Stefano nasce (e in parte muore) con la transumanza, con le bonifiche pugliesi. E un Abruzzo nuovo emerge con l’arrivo delle ferrovie, il prosciugamento del Fucino, la scoperta del mare, le industrie (a capitale svizzero e tedesco) di San Valentino, di Bussi. La fondazione di Pescara e della sua provincia (tra il 1926 e 1927) è l’espressione di questa nuova regione che preme alle porte della storia. Pescara nasce unendo due borghi popolosi e rivali, da sempre arroccati su due sponde opposte del fiume, appartenenti a province diverse. Grande operazione amministrativa, che in un trentennio triplica la popolazione della città e del territorio che le gravita attorno. Si sviluppa con ritmi crescenti una società dinamica e nuova, in cui l’immigrazione è intensa e costante, i rapporti con l’esterno fondamentali, la vocazione adriatica (e balcanica) pronunciata e incessantemente alimentata. Certo, ci sono, come in tutta l’Italia del mare, scempi ambientali ed edilizi, ma questi ci riportano indietro, agli anni ’50 e ’60, mi sembra ben fuori dall’attuale discussione (oggi la stagione è cambiata, almeno così mi suggerisce il recentissimo recupero dell’Aurum, che dota Pescara di uno dei maggiori spazi espositivi esistenti tra Ravenna e Bari). Il punto vero, su cui occorre che ci sia chiarezza, è Pescara intesa come città nuova, che raccoglie incessanti arrivi, che vuole esercitare una forza centripeta nei confronti di un’area ancora magmatica di seicentomila abitanti. Una realtà del genere deve costruire icone forti, innovative e coagulanti, una koinè visiva che accomuni storie e culture sempre diverse. Certo, deve esserci anche spazio per Cascella, le cui opere del resto si accampano con imponenza in punti cruciali degli spazi urbani. Ma Pescara è anche altro, Pescara è per molti versi più nuova di Los Angeles, questa città di matrice ispanica dalle profonde e radicate contraddizioni. Pescara, in confronto, rappresenta la faccia buona della modernità, fusione risolta di soggetti antagonisti, luogo di incontro pacifico e produttivo, perfettamente adeguato al mondo di oggi. Un mondo in cui di certo il Giappone è più vicino a noi di quanto lo fossero le due sponde dell’Aterno ai tempi delle pecore di Santo Stefano. Provincialismo? Io direi il contrario. Ciò che accade alla statua monumento di cui tutti stanno parlando è un evento di importanza mondiale, espressione di un problema delicatissimo di restauro e manutenzione dell’arte contemporanea. La durata del contemporaneo è una delle questioni esteticamente e culturalmente più urgenti del III millennio. Interessa australiani e cinesi, canadesi e francesi. Dovunque gli esperti di arte contemporanea si stanno interessando di quello che accade a Pescara come se accadesse a Los Angeles».
Umberto Dante , docente di Storia contemporanea all’università dell’Aquila
Non tutti la vedono alla stessa maniera. E meno male!!
Questo del Prof. U. Dante lo trovo senza dubbio il contributo più ponderato, analitico e critico di questi giorni!
L’analisi sulla città sulle sue aspirazioni e sul suo senso più profondo rispondono davero bene alle critiche di provincialismo e alle tante accuse rivolte e ricadute sulla città che è invece sempre alla ricerca di un nuovo che è il suo carattere più primitivo!
…grazie AnD!
Oggi il commento di Ivan D’Alberto, caro amico e compagno d’Università…
da “Il Centro”
MERCOLEDÌ, 25 FEBBRAIO 2009
Pagina 3 – Pescara
D’Alberto: lasciate l’opera così com’è, è comunque arte
Sul calice rotto interviene Ivan D’Alberto, direttore del Museo di arte contemporanea di Nocciano.
«Che la competenza spesso non sia passata da queste parti, tanto meno a Pescara, non è una novità, e che persino gli operatori culturali più in voga del momento non abbiano approfittato della gustosa occasione per dare una diversa chiave di lettura all’accadimento, è sinonimo di quanta poca prontezza c’è in questo angolo di provincia italiana. I politici locali, pur non capendo nulla di Arte Contemporanea, hanno approfittato dell’incidente, che gli si è presentato su un piatto d’argento, per strumentalizzare la vicenda e alzare il solito polverone per dare il colpo di grazia a chi ormai ha già abbondantemente toccato il fondo. Nessuno, tra maggioranza e opposizione, che avesse fatto una riflessione un po’ più colta cercando di andare oltre i soliti argomenti e capire il significato intrinseco che caratterizza tutta la vicenda “Huge Wineglass”. Effettivamente non c’è da stupirsi visto che nemmeno gli addetti ai lavori, quelli per intenderci che ricevono fior fior di quattrini dagli Enti pubblici e dagli sponsor privati per progetti culturali, hanno espresso un giudizio che andasse al di là del fatto che il blocco di plexiglass si sia rotto. Si va dai galleristi ai parenti dei grandi artisti, agli editori ai giornalisti, i quali si sono più preoccupati a fare bella figura con i politici di turno piuttosto che esprimere un punto di vista chiaro e senza freni inibitori. C’è chi ha affermato che con tutti i soldi spesi per la fontana avrebbe realizzato più di un evento culturale, c’è chi, invece, ha semplicemente dichiarato: “L’abbiamo fatta e ora bisogna aggiustarla” e infine c’è chi ha pensato che debba essere restaurata, sistemata, eliminata o addirittura sostituita. Tutti hanno dato una soluzione al problema ma nessuno si è accorto che la più semplice è quella sotto gli occhi di tutti. La storia come al solito insegna e non bisogna andare poi così lontano nel tempo per capire il grave errore che si potrebbe compiere. Marcel Duchamp, attraverso il suo orinatoio rovesciato e trasformato in fontana, ha determinato quell’inarrestabile cambio di rotta dell’arte in cui il concetto di bellezza diventa relativo, la casualità parte integrante e l’effimero la reale natura della società contemporanea. L’episodio ad egli accorso in un particolare momento del suo lavoro sembra essere l’esempio più calzante. La sposa messa a nudo dai propri scapoli è l’opera più importante di Duchamp, in quanto antologica. L’opera è costituita da due lastre di vetro verticali su cui l’artista ha disegnato, con filo di piombo, figure meccaniche che paiono prigioniere del materiale stesso: un po’ come il calice rosso di Toyo Ito nella fontana pescarese. L’opera di Duchamp è particolarmente fragile e mentre l’artista era impegnato a lavorare sopra il vetro, questo si ruppe. Duchamp si arrese? No, smise semplicemente di lavorare alla sua opera, lasciandola così com’era, resa compiuta dall’effetto dell’incidente. Egli finì col considerare l’imprevisto stesso un intervento del caso convincendosi subito a lasciare il vetro rotto senza tentare alcuna riparazione. La fontana di Toyo Ito colpita da sventura, errore progettuale, di lavorazione o semplice Caso, come simpatico “deja vu”, forse proprio adesso che è rotta rappresenta l’immagine precisa della Città. La fontana è Pescara che tenta di mostrarsi bella: ma una bellezza priva di fondamenti, debole di contenuti che implode e che si sgretola su se stessa. La scultura che si frantuma nel tempo sotto gli occhi attoniti dei cittadini è la società che per la sua stessa fragilità lentamente diventa macerie. L’incidente accaduto non è stato nemmeno sfruttato dai soliti “colonizzatori”, ritenuti esperti, che solitamente “bevono” da quello stesso calice. Preferiscono continuare a tagliare nastri inaugurali per la città pensando che la cultura è solo una forma di spettacolo momentaneo, temporaneo e non una testimonianza del passaggio della formulazione di un’idea. Trovando un giusto compromesso tra stabilità della struttura e la sicurezza dei cittadini, a mio avviso la fontana anche se rotta deve rimanere al suo posto così com’è».
Toyo sì, Toyo no…
la terra dei cachi…
da “Il Centro”
GIOVEDÌ, 26 FEBBRAIO 2009
Pagina 2 – Pescara
Toyo Ito: «Sotto shock per il Calice in pezzi»
L’architetto al vice sindaco: verrò quando avremo capito le cause del cedimento
Sospiri: «Ma si continua a negare il fatto che la donazione è stata finalizzata alla permanenza del cementificio in città»
MARIA ROSA TOMASELLO
PESCARA. «Sono rimasto scioccato nel sentire della situazione del nostro Huge Wine Glass mentre ero in Australia in viaggio di lavoro la scorsa settimana». Scrive così, dal suo studio di Tokyo, l’architetto giapponese Toyo Ito, che lunedì ha inviato una lettera al vice sindaco Camillo D’Angelo per manifestargli il suo disappunto per l’improvviso cedimento della grande installazione di piazza Salotto.
«Sono dispiaciuto perché l’opera era stata accolta molto bene dai cittadini» sottolinea Toyo Ito a poco più di due mesi da quel 14 dicembre in cui, davanti alla folla, inaugurò il «Calice» assieme al sindaco Luciano D’Alfonso. Ma l’arrivo dell’architetto, che nel giorno dell’implosione era stato annunciato come imminente, è rinviato a data da destinarsi. È lo stesso Toyo Ito a spiegare le ragioni che lo spingono a rimandare la partenza per Pescara: «Abbiamo consultato l’ingegnere strutturale giapponese Nakata» spiega a D’Angelo. «Nonostante volessi partire per Pescara immediatamente, la Clax sta esaminando le cause, e io vorrei incontrarla quando saremo ben preparati per discutere di cose concrete». La visita dell’archi-star in Abruzzo potrebbe però non essere lontana: la Clax Italia, la società di Pomezia che ha realizzato lo Huge Wine Glass, ha annunciato il primo bollettino sull’esito delle analisi entro lunedì prossimo. A Toyo Ito, D’Angelo risponde sottolineando il dispiacere non solo per l’accaduto, ma anche per le polemiche seguite al cedimento del «Calice»: «Come lei sa», scrive il vice sindaco, «la città guardava allo Huge Wine Glass come a una parte dell’identità di Pescara, uno strumento per superare i confini regionali e nazionali per raggiungere una più vasta comunità come un grande simbolo dell’arte contemporanea. Noi riteniamo che sia ancora possibile, e per questo siamo interessati a fare chiarezza su cosa è accaduto e perché».
Le polemiche, tuttavia, non accennano a placarsi. «Non c’è chiarezza sulla proprietà» è l’accusa del centrodestra. D’Angelo, però, ribadisce che la proprietà dell’opera è del Comune in virtù della donazione di Lafarge e, nella quota di circa il 20 per cento, di Banca Caripe: «È detto chiaramente nel protocollo d’intesa con Lafarge, in cui si afferma che tutte le conseguenze sono in capo al Comune. Adesso, probabilmente, ci sarà un atto con cui il bene sarà acquisito nel patrimonio comunale. Non è detto che sia necessario: abbiamo chiesto un approfondimento all’ufficio legale».
Torna all’attacco però il consigliere del Pdl Lorenzo Sospiri, che rispolvera una polemica vecchia di due anni, accusa l’amministrazione di negare l’accordo «messo nero su bianco» tra Comune e Lafarge e sostiene che la donazione di 840 mila euro che ha consentito l’acquisto dell’opera è stata finalizzata alla permanenza del cementificio in città per 15 anni: «Il protocollo prevedeva che la Lafarge elargisse 120 mila euro l’anno al Comune per opere pubbliche, tra cui il Wine Glass, e il Comune, dal canto suo, si impegnava ad “assumere gli adempimenti affinché l’attività dell’impresa si svolgesse nel modo più idoneo” sul territorio di Pescara. Un accordo della durata di 15 anni smascherato dall’ex consigliere Carlo Costantini, rivelando il vero motivo delle “elargizioni” di cui il Comune ha beneficiato».
allucinante
ho inserito su ssc diverse immagini del wine glass scattate il 25 febbraio. il link della pagina: http://www.skyscrapercity.com/showthread.php?t=776214&page=21
Grazie ullman
da “www.primadanoi.it”
Propongo un interessante commento che ricostruisce la storia della “fontana” da dietro le quinte.
Meditate…
Commento all’articolo: “Toyo Ito al capezzale del suo Huge Wine Glass” del 16 marzo 2009
Inviato: 16/3/2009 16:54 Aggiornato: 16/3/2009 16:54
Commentatore Neofita
Iscritto: 16/2/2009
Da: perplesso
Inviati: 10 LA VERITA’ !!!!!
FINIAMOLA DI FARCI PRENDERE IN GIRO….ECCO COME SONO ANDATE LE COSE !!!!!
Lafarge non aveva nessuna intenzione di spostare il cementificio di Pescara dalla sua attuale location ma, non potendo comprare un permesso che poteva comparire come una tangente autorizzata ha donato al Comune di Pescara (sborsando 850.000 euro) e con la partecipazione della Fondazione Caripe (che ha sborsato 250.000 euro) il famoso Huge Wine Glass, in questo modo “BATTEZZAVA” i giochi del Mediterraneo e indorava la pillola ai cittadini.
A questo punto bisognava trovare il produttore, ma il Comune di Pescara non aveva alcuna conoscenza a tal proposito !
Venne quindi incaricato dal Comune un “consulente esterno” che operava da anni nel settore delle materie plastiche, il quale fece una ricerca inviando i disegni originali ( dimensioni cm. 300×300 altezza 600) a diverse Aziende riuscendo a farsi quantificare il costo dell’opera in euro 1.650.000+ IVA.
Tali Aziende però operavano all’estero (Nippura/Giappone, Degussa/Germania) e si presentavano due problemi :
A…..non erano “manovrabili”
B…..Il prezzo era troppo alto, la differenza l’avrebbe dovuta tirare fuori il comune e non c’era spazio per il magna magna.
Come fare ?
Lo stesso consulente contattava la Clax Italia ( o Gesù….) che aveva i giusti “requisiti” ma non i mezzi (della competenza ne parleremo dopo) per realizzare un monolite di quelle dimensioni.
Nessun problema, venne modificato completamente il progetto con il placet di Toyo Ito e ridotto in dim. cm. 200×200 altezza cm. 500.
Comincia la farsa……..
Il monomero costa circa euro 1,40 kg., il monolite modificato con le nuove dimensioni pesa 24.000 kg., pertanto il costo della materia prima è di euro 34.000 !
L’originale 300x300x600 avrebbe avuto un peso di circa 64.000 kg., quindi un costo della materia prima di 90.000 euro circa.
Clax Italia, prendendo come riferimento il preventivo di base quota in euro 1.100.000 + iva l’esecuzione del Wine Glass, dicendo che la differenza rispetto al prezzo iniziale l’avrebbe tirata fuori di tasca sua come contributo alla realizzazione di un’opera così importante…….quando si dice farsi le punture in faccia……ma fortunatamente i disegni originali esistono !
Partono le altre richieste di preventivo da parte del Comune a seguito della delibera della giunta comunale per la sistemazione di Piazza della Rinascita o Piazza Salotto che dir si voglia, Nippura e Degussa capiscono tutto e nemmeno rispondono anche perchè non ci sono più i tempi tecnici di realizzazione, l’altra Azienda interpellata è di comodo e segnalata dal famoso consulente, alla faccia dell’antitrust….ma nessuno la conosce !
Rimane solo la Clax Italia……che culo !
Il resto è storia…..il monolite fatto in fretta e furia è un ammasso di blocchi in pmma mal polimerizzati, pieno di azzurranti per nascondere alla meno peggio gli incollaggi ma non sufficienti per nascondere la nebbia all’interno che si sviluppa sia durante la produzione in autoclave dei blocchi quando si porta all’esasperazione la pressione all’interno dello stesso e sia quando le colle catalizzate incontrano materiale non polimerizzato incollando solo una parte della massa.
Addirittura non si riescono a lucidare nemmeno le superfici esterne per quanto pieno di monomero residuo è il monolite.
Lunedì 16 Febbraio 2009, a Pescara fa freddo e la temperatura la notte scende sotto lo zero ma nel primo pomeriggio esce il sole e all’interno del monolite la temperatura, assorbita nelle ore precedenti, è ancora intorno allo zero.
L’effetto è devastante, le dilatazioni dovute all’irraggiamento solare provocano delle tensioni.
La massa presenta al suo interno incollaggi disordinati e parziali, le tensioni che si sviluppano all’interno per tale motivo provocano reazioni uguali come intensità ma contrarie come direzione…..il monolite si strappa….implode.
Alcuni giorni fa leggo che l’architetto Munzi prenderà decisioni sul da farsi solo dopo che verranno dimostrate le cause dell’implosione ed esclusi atti vandalici (ovvero consapevole che all’ufficio tecnico del comune di Pescara nessuno ne capisce un tubo di polimetilmetacrilato sta mettendo le mani avanti), l’amministrazione comunale non è in grado di chiarire di chi è la responsabilità amministrativa. Nonostante siano stati sborsati diversi migliaia di euro non si sa chi sia il proprietario dell’ex Wine Glass. Lafarge ha ottenuto il suo scopo e quindi la cosa non è più di suo interesse. Se almenoToyo Ito fornisse un chiarimento per quanto riguarda la modifica del progetto….
Non avendo la Clax Italia competenza ma nemmeno i soldi per costruire “Wine Glass 2” inesorabile scenderà il sipario su questa brutta storia.
SICCOME :
le mura della Clax Italia non sono di proprietà dell’Arch. Munzi….
SICCOME :
l’autoclave per la produzione dei blocchi non è di proprietà dell’Arch. Munzi……
SICCOME….la Clax Italia non si sa di chi sia…..
mi chiedo “CHI” non ha preso informazioni dettagliate prima di nominarla ditta appaltatrice e di sganciare i soldi e dove sono finiti gli stessi !!!
Sparirà il Wine Glass come sono spariti i soldi, e hanno talmente bene ingarbugliato le carte che non ci saranno neanche processi.
Saluti !!!!!!
Sinceramente la cosa che mi lascia sbalordito maggiormente nella faccenda del Wine Glass è la ricerca del male non nelle cause (cosa che servirebbe da monito per il futuro) ma stupidamente e senza cognizione di causa addossando le responsabilità ad eventi occasionali tipo condizioni atmosferiche o addirittura fantomatici atti vandalici, scaricando le stesse sul materiale utilizzato.
Tutto questo è sterile, ci sta bene tutto quando non sappiamo dare delle spiegazioni e non andiamo oltre l’aspetto mediatico, ma proviamo a socializzare con il principale inquisito…il PMMA.
Il polimetimetacrilato è stato casualmente formulato dal Dr. OTTO ROHM nel lontano 1933 quando fu incaricato dalla lufthansa di studiare un composto che legasse due calotte di vetro in maniera tale che i piloti degli stukas, durante le azioni di guerra, rimanessero pressurizzati nella cabina di pilotaggio in caso di rottura del cupolino.
Casualmente perchè il composto polimerizzò e quindi le due calotte di vetro “partorirono” un prodotto otticamente perfetto, più del vetro…il polimetilmetacrilato.
Il Dr. Rohm, senza volerlo, aveva inventato un prodotto che negli anni a seguire avrebbe trovato utilizzo nel campo aereospaziale, navale, arredamento, oculistico etc etc…. fino ad essere utilizzato diventando indispensabile ovunque si necessitava di trasparenza e conduzione luminosa. Il materiale più ottico al mondo…….
Quindi…..
Mi chiedo come sia stato possibile che negli ultimi anni tutta la piazza delle materie plastiche abbia cercato (invano) di scalzare al PMMA l’ appellativo di “unica materia plastica al mondo più trasparente e resistente del cristallo di boemia”.
Mi chiedo attraverso che tipo di PMMA guardasse il buon Piccard quando, dal batiscafo trieste nella profondità della fossa delle marianne (1.100 bar di pressione equivalente), diceva…… “il fondo appare luminoso e chiaro”.
Mi chiedo cosa pensasse della resistenza al gelo il buon Neil Armstrong guardando fuori dal suo casco in pmma l’universo durante l’ allunaggio……
Mi chiedo cosa pensano adulti e bambini guardando le meraviglie del mare dell’acquario di Genova sentendosi protetti dietro un blocco di pmma trasparente.
Mi chiedo se la gente si chiede come mai le mummie sono protette da teche in pmma piuttosto che di vetro. Verrebbe da dire perchè non si rompe….risposta scontata ! Non è così…..il pmma le protegge contro l’aggressione dei raggi UV altrimenti nel giro di qualche mese rimarrebbe solo polvere……
E cosa pensiamo noi tutti davanti al nostro maxischermo comodamente seduti sulla nostra poltrona in pantofole mentre guardiamo la finale della coppa del mondo o il nostro programma preferito ?
Potrei andare avanti per ore…….
Ma……tanta illustre scoperta scientifica pretende di essere lasciata nelle mani di coloro che conoscono alla perfezione la natura del materiale, lo studio della chimica e della fisica, assolutamente scabri dalla presunzione di sfidare gli eventi senza curarsi delle conseguenze…..
Quando ho visto il Wine Glass sono inorridito (e non farò alcun richiamo alle mie già ampiamente illustrate considerazioni tecniche), non avevo mai visto in vita mia tanta incompetenza nemmeno da parte degli studenti universitari alle prime armi e il primo versatore per la colla monocomponente nelle mani.
Gli Osanna a Toyo Ito al Sindaco D’Alfonso e alla Clax Italia si innalzavano nei cieli in Piazza Salotto a Pescara la sera dell’inaugurazione, e io davanti al monolite che mi dicevo….qua scoppia tutto……
Poi ho letto di tutto, hanno scritto peste e corna sul pmma dando una pessima informazione su un prodotto che viene considerato universalmente “la regina delle materie plastiche”, di cui l’Azienda madre già menzionata concede la bellezza di trenta anni di garanzia.
Invito a visitare i vari siti delle Aziende di produzione e di trasformazione, è bellissimo quello che si può realizzare con il Pmma….da un semplice portariviste alla inclusione di una moneta o di un oggetto qualsiasi fino ad arrivare alla costruzione di un monolite delle dimensioni del Wine Glass, e la trasparenze…i riflessi….la sensazione di limpidezza, non hanno veramente termini di paragone.
In tanti hanno criminalizzato la materia prima, in pochi si sono resi conto che la Clax Italia forse pensava di incollare le figurine Panini…….
Direi che basta, ma mi piacerebbe che qualcuno si interessasse oltre che alla cronaca a quanto ho scritto…..chissà, magari ancora una volta da un male nasce un bene.
Un caloroso abbraccio al team del CAP e a tutti i lettori.
grazie perplesso, questo ci fa capire ancora di più la provvisorietà delle menti che oggi sono su quella poltrona..
La materia sarà pure bruta e bastarda, ma è imparziale.
Non guarda ai titoli cartacei di chi la maneggia, ma solo alla reale confidenza tra lei e il suo manipolatore.
Lo schianto del “calice di vino” meriterebbe una pièce teatrale, tanto è emblematico nel suo intrico di interessi, personaggi, passioni.Questa scultura mi appare un tale concentrato di simboli, che mi sembra quasi una storia dai connotati mistico-trascendenti.
Proprio per questo la impiegherei come monito per i posteri per mostrare loro dove l’hybris da vanità e cialtroneria possa portare.Senza perarltro terrorizzare nessuno.In fondo, non s’è sparsa neanche una goccia nè di sangue e neanche di vino
Marco Sclarandis.