“[…] Atessa come il vino cotto. E’ l’Abruzzo che tarda a uniformarsi, che s’indugia pei sentieri antichi prima di sboccare sulla strada delle automobili e della stazione – del resto essa stessa georgica – della piccola ferrovia sangritana […]”, scriveva nel 1935 Ettore Janni, nella “Rapsodia Abruzzese”; ma quella era un’altra epoca.

Ormai il falso progresso e l’uniformità (il sogno sciagurato della “città generica”) hanno invaso anche l’Abruzzo, i soldi facili hanno distrutto i cuori e le memorie; quello che resta in questa Regione sembra talvolta un muto simulacro, in attesa del prossimo crollo o della pronta demolizione.

Arrivo ad Atessa in una fredda e tersa mattina di gennaio.

E’ l’Epifania.

Incontro i miei amici atessani alla base del paese. Arriviamo nel centro dal lato di via Cesare Battisti.

Mi mostrano i crinali prossimi al Colle di San Cristoforo, dov’era il vecchio Pastificio Jannone, in cui si sono verificate frane nel 1980 e poi nel 2003.

Camminiamo verso Piazza Garibaldi da via Duca degli Abruzzi.

Si preannuncia il disastro.

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DAVANTI ALL’ECOMOSTRO…

La strada è semiostruita. Iniziamo a vedere il luogo dov’era il Cinema Italia, interessante architettura  costruita appena dopo la Seconda Guerra, che si rifaceva a modelli razionalisti degli anni ’30.

Al suo posto, al posto di una parte della collina, è un osceno squarcio.

Ci giriamo verso la piazza, temevamo che fosse invaso dalle bancarelle del mercato del giovedì. Pare che non vi sia più il mercato che c’era prima, da molti mesi. Le bancarelle si alloggiano per il corso, ma oggi non le vedo.

Piazza Garibaldi è stata svuotata, e la superficie ricoperta. Ora c’è una squallida pista di ghiaccio dove i bambini pattinano… Intorno una distesa di auto posizionate in ogni verso; altre auto fanno la gincana per passare.

Sgomento, cerco un punto da cui vedere l’ampiezza dello scavo.

Si tratta di circa due piani di parcheggio, una voragine.

Ancor più è  impressionante la violenza cui è stato sottoposto il Colle di San Cristoforo.

QUEL CHE RESTA DELLA VILLA COMUNALE…

Il taglio lascia vedere la struttura mista di sedimenti fini e argilla di cui è costituito il Colle. Sulla piazza hanno posato i prefabbricati – di quelli che si usano per i raccordi autostradali – per rifare la carreggiata e ricreare il piano stradale.

Procediamo intorno al “cono” di San Cristoforo, com’è ormai stato trasformato l’antico Colle.

Iniziamo a salirci dal retro, per via Santo Spirito, una zona dove sorgono delle villette basse. Una parte della scarpata, di proprietà privata, attende ancora l’alienazione e lo sbancamento.

Troviamo un varco, una specie di scivolo in cemento, di fattura – pare – recentissima.

Saliamo per alcuni più antichi gradini alla spianata della Villa Comunale – ma ormai dovremmo dire “ex Villa”…

La piana, già luogo d’insediamento conventuale (Santo Spirito), e poi cimitero fino al XIX secolo, fu sede delle fiere del bestiame che si tenevano in occasione delle maggiori festività religiose, in estate. Anche la processione del Corpus Domini e dell’Ascensione prevedeva la salita e la discesa dalla collina. Ancor oggi, in occasione della “Sacra Rappresentazione” (scene teatrali sacre che si volgono in Piazza Garibaldi durante la Settimana Santa, a volte ripetute in agosto), sul Colle vengono istallate tre grandi croci; l’area oggi non più esistente ne era parte integrante.

In cima al Colle si trova ancora la Torre, eretta alla fine dell’epidemia di peste nel XVII secolo, a ringraziamento dalla popolazione. La Torre e il Colle sono il vero simbolo del paese, arrivando ad apparire sul vecchio stemma del Comune. Sulla volta di una sala di rappresentanza del Municipio, esiste un dipinto risalente al XIX secolo, in cui appare la raffigurazione del Colle con il leone rampante, proprio la parte che oggi è stata sbancata.

Verso il 1933, dopo essere stata anche un improvvisato campo sportivo, la piana fu trasformata, in modo assai pittoresco, in Villa Comunale.

Tra la Torre e la spianata, fu creato un chiosco in ferro battuto, lavorato artisticamente. Più semplici gli arredi: vasi, panchine, la fontana sono in cemento lavorato a imitazione della roccia scolpita.

La parte più alta del Colle fu dotata di scalinate in pietra della Majella.

Nulla di tutto ciò resta.

L’arredo della parte superstite della Villa è tenuto in condizioni pessime.

I vasi sono divelti, e giacciono tra cataste di bottiglie di birra vuote.

Il chiosco resiste ancora alle trasformazioni e all’incuria. Alcuni elementi architettonici sono staccati.

Il cantiere è proprio lì dietro. Dovrebbe essere chiuso, e custodito.

Invece è facilmente accessibile: i graticci in ferro sono spalancati. A mio rischio, ho la possibilità di assistere alla catastofe di questo paese dall’alto, da dove una volta si coglieva la migliore veduta.

I terrazzamenti, creati dall’impresa Di Francesco per alloggiare i palazzi da costruire sono ripidissimi. Sulle pendici coniche, han pensato bene di stendere le orrende reti che reggevano le frane ai lati dei tagli autostradali. Sotto le reti, hanno posto rotoli di terra già seminata che, con le piogge, hanno fatto spuntare poveri germogli, che – da lontano – rendono il Colle San Cristoforo ancora verde – parvenza di quello che era nel passato recente. Infatti gli alberi, piantati dai padri, sono stati tagliati senza pietà dagli atessani di oggi.

A forza di scavi, han fatto trovare nel vuoto anche le basi delle antenne della telefonia mobile.

Un vialetto bitumato ricorda quello che doveva essere il sentiero tra gli alberi che portava, in due rampe, alla Torre.

Inerpicandomi ormai dal chiosco in ferro battuto, raggiungo la sommità.

Il sole spazza Atessa, impietoso.

I ragazzi continuano con il loro pattinare. Da qui paiono scorrazzare sul vuoto, al di sopra di macchinari che assomigliano a idrovore, che forse han captato una falda o, semplicemente, risucchiano il ghiaccio disciolto della pista.

La Torre, che nelle foto d’epoca aveva spesso una bandiera in cima, era stata usata un po’ come l’albero della Libertà. In una cartolina per le celebrazioni del decennale della Resistenza sembra proprio esservi associato.  Forse per scongiurare istinti troppo rivoluzionari, proprio negli stessi anni – come ricorda una lapide del 1955 – il popolo atessano issò una statua della Madonna sulla sua sommità. Seppure la statua sia recente,  sembra che le due siano fatte l’una per l’altra.

Ora contempla la catastrofe che è proprio sotto di sé, e ne minaccia le fondamenta.

Andando via, mi soffermo ancora a vedere quella decadenza. Bisognerebbe restare qui, legarsi mani e piedi e difendere ogni centimetro di terra attaccata.

Mentre gli amici ed io andiamo via, uno sciame di bambini festanti e incoscienti salgono alla Villa, e iniziano a giocare a nascondino. Inconsapevolmente, i bambini non accettano la privatizzazione a cui è condannato il loro spazio e il loro paesaggio.

Ancora Janni ricordava: “Ci fu una volta un bambino […] di gente atessana che sua madre alzava fra le mani, fasciato, davanti a una casa della collina di Vasto […] Poi quel ragazzo, a Atessa, girava per le vie quiete, entrava nelle chiese dove l’ombra sembra la porta socchiusa del mistero, saliva sulla collina in cima al paese, segnata d’una vecchia colonna, per un più ampio spazio libero, e amava, fuori del paese il vecchio convento di San Pasquale in mezzo a un bosco di quercioli […]”.

Anche ad Atessa privatizzano il paesaggio, lo rubano, lo annientano…

Come avrebbe poi doviziosamente spiegato il Sindaco, la sera dopo.

IL “MIRACOLO” DI SEBASTIANO CALELLA.

L’incontro è fissato nel piccolo teatro comunale, alle 20, 30 del 7 gennaio 2011.

Ci ha informati il passaparola. Nessun giornale a diffusione regionale riporta la notizia.

Abbiamo pensato bene di tornare, e di intervenire a un dibattito pubblico che – si preannuncia – palesemente a favore dello sciagurato intervento.

Su un tavolo nel foyer è posata una strana pubblicazione multicolore.

L’arcano sarà svelato poco dopo. Si tratta del “Libro trasparente” o “Libro della Verità”, con un’infelice metafora che unisce la Bibbia alla speculazione edilizia.

E’ la risposta al “Libro Bianco” – ben altra metafora – della minoranza in Consiglio Comunale, in cui si contestano le irregolarità delle opere di Piazza Garibaldi. Già da questo titolo si doveva preannunciare il tono della serata, un misto tra italiano vernacolare e voglia di fare buoni affari.

Il piccolo e grazioso teatro era riempito a metà al mio arrivo – l’incontro da poco iniziato.

Il Sindaco, un architetto; il vicesindaco, un ingegnere che ha abbracciato molti partiti nella sua vita – così dicono; al centro, la figura paciosa di un giornalista.

Ha un accento vagamente romano. Cerca di moderare, di suggerire frasi e argomenti. E’ lui il regista della serata.

Si direbbe che è lui a mettere a posto i congiuntivi agli Amministratori.

Dietro di loro, scorrono i “renders”, il progetto del disastro, insieme con alcune vecchie foto, accortamente scelte. In una, si mostra il Colle di San Cristoforo a fine Ottocento, senza alberi. La Piazza, senza il Cinema Italia, ovviamente…

Si inizia con una lunghissima digressione sul federalismo, che imporrebbe ai Comuni la ricerca creativa di finanziamenti, e di qualunque aiuto venga dai privati.

Si prosegue illustrando ogni merito della presente Amministrazione, a scapito della passata. Il Vicesindaco nota, molto accortamente a proposito del Cimitero – rovinato dalla speculazione rispetto al progetto ottocentesco – che  “i moderni hanno solo fatto danni”. Si tratta di un’implicita autocritica?

Si passa per qualunque muricciolo, o strada riparata dal Comune, e dagli illustrissimi lì presenti.

Qualcuno in sala tossisce in segno di dissenso quando si parla di risarcimenti dovuti a seguito di errori della passata Amministrazione… Le immagini di fondo si ripetono come un messaggio subliminale…

Alla fine il buono, pacioso giornalista fa arrivare la conversazione al punto dolente: la demolizione del Cinema Italia, del Colle… eufemisticamente spiegati al popolo come “Rimodulazione del Contratto di Quartiere”. Emerge una storia ben diversa da quella che ci eravamo immaginati: a causa di errori di gestione, si rischiava di perdere un importante finanziamento ministeriale, perché la zona prescelta per la realizzazione di un parcheggio era gravata da un vincolo (poi rivelatosi erroneo).

Al posto di perdere i soldi, l’operosa Amministrazione atessana, nel giro di sei mesi, ha cambiato completamente progetto. Ha scelto direttamente la Piazza, svuotandola. Ma ha dato un vantaggio al privato, per realizzare l’intervento: costruirà una cortina di palazzi e la nuova sala polifunzionale (diventerà forse un cinema multisala? Ad Atessa?!), che rivenderà – a caro prezzo – allo stesso Comune.

E’ l’uovo di Colombo.

Non entro volutamente nel merito della convenienza economica dell’opera, o dei guadagni, leciti o illeciti dell’impresa Di Francesco da Castelpetroso (Isernia), che sta realizzando l’intervento. Certo, il Comune dovrà pagare una bella cifra per un edificio che già aveva… in una forma architettonicamente elegante e funzionale.

A parte che il centro storico di Atessa non pare così mancante di parcheggi – visto lo spopolamento in atto.  Nessuna menzione sull’infima qualità architettonica dell’intervento. Anche se il Vicesindaco si dice “non del tutto soddisfatto” di come tornerà la Piazza. Vorrà forse fare un concorso di idee per rendere più moderno lo spazio?

Le quote delle nuove costruzioni supereranno abbondantemente la Chiesa di San Rocco, la Soprintendenza B.A.P. definisce “monumentale”.

Così come la stessa Soprintendenza identifica nella Piazza Garibaldi il punto di veduta più importante del paese.

GLI STRANI NULLA OSTA.

Hanno rilevato due strati archeologici sotto Piazza Garibaldi – lo so – ma nessuno si è mosso. Il nulla osta B.A.P., firmato misteriosamente  da un funzionario andato in pensione pochi giorni dopo, è ripreso in una nota della Soprintendenza, che il Vicesindaco legge faticosamente sul palco –  è preso dall’eccitazione… Somiglia a un bambino che ha fatto una marachella, e l’ha spuntata!

Si parla poi in modo vago di “Associazioni” che sono state fomentate, evidentemente potentissime per essere riuscite a conquistarsi la prima pagina del “Centro”, un paio di giorni prima.

Non li sfiora neppure l’idea della gravità di quanto stanno facendo.

Ma, come ricorda il buon Sindaco, visto che la cosa “non è andata liscia come l’olio”, alla fine la soddisfazione sarà ancor maggiore.

Il buon giornalista strappa un applauso finale alla platea – pare, composta dall’intera Amministrazione Comunale con i famigliari schierati. Anche perché pare che i dirigenti comunali contrari a questo disastro siano stati opportunamente destituiti.

La serata si chiude così, dopo circa due ore, senza la possibilità di intervenire.

Un po’ stranito dalla cosa, intercetto il Sindaco, sceso dal palco.

Il suo Vice si è letteralmente volatilizzato.

Il pacioso e attempato giornalista riceve i complimenti da uno spettatore, che gli chiede il suo biglietto da visita. Al che lui, fattosi frettoloso, gli consiglia di chiedere il suo numero allo stesso Sindaco, e si dichiara “giornalista di Primadanoi, un quotidiano online…”. Non credo alle mie orecchie. Questa ridicola messinscena è stata condotta da Sebastiano Calella, che mi hanno detto erroneamente essere l’addetto stampa dell’Amministrazione. Il suo incarico è, in realtà, quello di Direttore responsabile del bollettino informativo comunale.

“COSA VIENE A FARE AD ATESSA? SE NE STIA A ROMA…

Nel frattempo mi presento al Sindaco, come membro di una di quelle Associazioni “con molti legami”…“Lei è di Italia Nostra!”. Rispondo affermativamente.

Contesto all’Amministrazione non la liceità dell’intervento, ma la sua estrema bruttezza, che squalificherà l’intero centro storico di Atessa.

Soprattutto la nuova “sala polifunzionale“, che mi ricorda – in peggio – il “Pin Palace” di Montesilvano, con la soluzione della facciata finestrata sul lato destro, accanto alla “monumentale” Chiesa.

Poi dico che si tratta di un terribile precedente, tramite il quale si potrà mettere mano agli spazi pubblici e ai centri storici in tutto l’Abruzzo.

Nei gesti, nelle parole, nessuno degli Amministratori con cui ho parlato afferma trattarsi di un intervento di pregio estetico od architettonico.

Solo due donne (parenti? mogli?) inveivano, inferocite contro di me, consigliandomi di restare a Roma, dove vivo, e di disinteressarmi di Atessa.

Il diverbio, oltremodo colorito, ha fatto emergere quelle persone in tutta la loro pochezza.

Ho suggerito, qualora l’Amministrazione si sentisse calunniata, a prendere ogni provvedimento legale; cosa che già è in atto – mi assicura il ragionier Palena, Presidente del Consiglio Comunale.

Starebbero già consultando legali per querelare Italia Nostra.

Come faceva Italia Nostra a conoscere i dettagli economici dell’operazione? Sono tutte cose scritte nel “Libro Bianco” del PD…

L’avranno letto…” suggerisco io…

Mi congedo dagli Amministratori, augurandomi che Vittorio Sgarbi – ultimamente è spesso in Abruzzo – possa visitare Atessa, e giudicare l’intervento, e i nuovi palazzi.

Palena ammette che a Sgarbi forse non piacerebbe quello che sta facendo l’Amministrazione, ma questo non vuol dire che il lavoro è illecito.

Il Sindaco chiude: “Vittorio? Un caro amico mio…”.

Atessa è magnifica di notte, anche nell’incuria e nello spopolamento di palazzi e case , che ricordano l’antica ricchezza terriera. I nuovi spazi abitativi e commerciali saranno dannosi per quelli che già esistono, e vanno a sparire. Piuttosto bisognerebbe incentivare un recupero e il riuso abitativo degli immobili, ora sfitti e in attesa di un acquirente.

Termino la serata bevendo un bicchiere con in miei amici atessani, e augurandomi che un giorno, questo sia solo un brutto sogno.

Addio, Atessa”…

Libro Trasparente Progetto Discesa Casette Piazza Garibaldi Atessa

Libro Bianco Pd Atessa

Comunicazione Soprintendenza Piazza Garibaldi Atessa

articolo Il Centro